… iucundum nihil agere …dulce optimum … compressis minibus sedere …
Vocabolario on line
accìdia s. f. [dal gr. ἀκηδία «negligenza», comp. di ἀ- priv. e κῆ δος «cura», assunto nel lat. tardo come acedia e acidia]. – Inerzia, indifferenza e disinteresse verso ogni forma di azione e iniziativa: la condizione che caratterizza molti giovani del nostro tempo, afflitti da assenza di interessi, monotonia delle impressioni, sensazioni di immobilità, vuoto interiore, rallentamento del corso del tempo e quindi a. (Umberto Galimberti). Più in partic., nella morale cattolica, negligenza nell’operare il bene e nell’esercitare le virtù (nell’antica tradizione teologica, uno dei sette peccati, o vizi, capitali).
Racconti dei Padri del Deserto
Era, all’inizio, demone meridiano: un incubo, per i monaci della Tebaide, che hanno scoperto per primi la devastante portata teologica dell’akedia dentro la vita dello spirito. “Il medico passa di prima mattina, scrive Giovanni Climaco, la malattia (l’akedia) visita i monaci a mezzogiorno”. A quell’ora, commenta san Nilo, il monaco si istupidisce. Se legge, non riesce a coinvolgersi e a concentrarsi; ripetutamente cerca l’abbandono del sonno, ma sono atti di volontà senza successo; si alza improvvisamente come per mettersi all’opera e gli viene voglia di mangiucchiare. Fissa nel vuoto, fissa la parete, non vede niente. Conta le pagine, legge le carte partendo dalla fine, le sfoglia distrattamente a metà, le richiude sull’inizio. Quando il demone meridiano lo coglie, il monaco è colpito dall’orrore del luogo in cui si trova, nel quale non c’è nulla di veramente sensato da fare; ha fastidio dei fratelli con cui vive, che gli sembrano aridi e grossolani. Se ne sta vuoto e immobile nella sua cella. Sogna conventi assenti e lontani, pieni di vita e di fervore, nei quali dovrebbe essere. E’ preso da scoramento per il luogo in cui è, la cella dei suoi sogni di vocazione gli sembra una prigione immeritata. Fissa le pareti di quella che ora è la sua tomba: ma neppure ne vuole uscire. Si può capire lo sconvolgimento di questa scoperta. Il monaco non è soltanto soggetto, come è normale, alle diverse tentazioni dell’anima e della carne. Egli può essere assalito improvvisamente dal tedio, dal disgusto, e infine dal vero e proprio odio dei pensieri e delle azioni che regolano la sua vita con Dio. In altre parole, la ragione stessa per la quale è lì
Accidia di Pierangelo Sequeri
Il carattere cruciale di ciò che l’antica tradizione chiama accidia ci trafigge proprio qui. L’accidia è quella strana mescolanza di tedio e di risentimento che si sviluppa nei confronti della qualità spirituale tout-court: l’improvvisa e paralizzante comparsa del suo totale svilimento, che ci induce a dubitare di averla mai conosciuta e a disperare di poterla trovare. Sintetizzando da par suo la tradizione, ma anche audacemente interpretandola, san Tommaso indica il focus dell’accidia nella noia della pratica delle opere buone, che intorpidisce progressivamente la disposizione a incominciarle. Il circolo “vizioso” dell’accidia, che mette in stallo la qualità spirituale, è perfettamente inquadrato. In questa chiave, capiamo la gravità con la quale gli antichi maestri dello spirito avevano inquadrato l’acedia, e la serietà con la quale si impegnavano a superarne la prova. Altro che pigrizia ad alzarsi o inconcludenza delle giornate in cui “non gira” niente. Capiamo anche perché la prova dell’acedia riguarda uomini collaudati, che potrebbero ritenersi al sicuro: monaci sperimentati, dicevano gli antichi padri, non novizi. Infatti, l’acedia colpisce la consuetudine della virtù, non l’abitudine al vizio, che è tutt’altra cosa. L’acedia, nel suo presentarsi, ha un carattere sorprendente, destabilizzante scandaloso: ma come, proprio a me, che sono un cristiano impegnato? … La tradizione spirituale conosce bene, del resto, la parentela fra il triste avvilimento dell’acedia (“Presi in odio la vita, perché mi era insopportabile quello che si fa sotto il sole”, Qohelet 2, 17) e l’arido vuoto della “notte oscura” di cui parlano i mistici (per tutti, San Giovanni della Croce). La dimenticanza di questa affinità – larga quanto un capello, profonda come un abisso – ha creando scalpore, quando si è diffusa la notizia della tremenda prova di aridità e oscurità che Madre Teresa di Calcutta ha consegnato alle sue confessioni. A questo punto ci domandiamo: che cosa c’è di peccaminoso, in questa condizione dell’acedia? Perché è un vizio capitale, irriducibile ad una questione psichica d’umore e di esaurimento, o anche – nei casi più gravi – alla sofferenza della depressione e dell’angoscia? … San Tommaso ci è di nuovo d’aiuto. La tentazione che arriva con acedia approfitta della prostrazione per insinuare la ragionevolezza di una doppia scelta: il languido abbandono di Dio, l’ossessiva ricerca di sé. Il disgusto per la ricerca della qualità spirituale accetta di convertirsi in risentimento per la sorgente dalla quale è venuta, facendoci una volta affezionare alla rivelazione del suo dono e della sua grandezza.
L’illusione di doverne uscire sta nella decisione, apparentemente semplice e risolutiva, di “lasciar perdere” … Il vizio dell’accidia si alimenta giustificandosi con ogni mezzo. E si giustifica disprezzando freddamente ciò che abbiamo caldamente imparato ad amare. L’accidia è un vizio secco, dicevano gli antichi, che rende aridi e cinici verso Dio e il prossimo. L’accidia mette infine alla prova il nostro latente delirio di onnipotenza, secondo il quale tutto quello che abbiamo ricevuto ci è dovuto: e deve apparirci semplicemente e sempre amabile, servizievole, carezzevole e brillante. Altrimenti, “non mi dice più niente”, “non mi dà più niente”. Qualunque cosa sia stato, ecco la conclusione viziosa, allora non è stato niente. “E’ inutile servire Dio: che vantaggio abbiamo ricevuto dall’aver osservato i suoi comandamenti?” (Malachia 3, 14). … Il cristianesimo stesso non è al riparo dalla rassegnazione luttuosa e dall’attivismo narcisistico, che indicano una conciliazione non ben risolta fra l’umile richiesta che Dio si faccia sentire di nuovo, anche se non ce lo meriteremmo, e l’intima gioia di volersi spendere per la giustizia condivisa dell’umano attaccamento alla vita. La trasparenza del testimone si misurerà anche dalla coraggiosa franchezza della sua stessa purificazione dagli spiriti maligni del nervosismo e dell’irritabilità di acedia … La prossimità cristiana deve neutralizzare in primo luogo la disperazione che consegna la generazione che viene, anche a motivo della nostra colpevole rassegnazione all’accidia, al benessere del lombrico: senza grandezza d’animo, senza dignità degli affetti, senza incanti dello spirito. Dalla nostra generosa e lieta testimonianza arrivi almeno questo, della verità del cristianesimo: qualsiasi cosa pensino del cristianesimo, il cristianesimo pensa questo, per loro.
Pierangelo Sequeri, Avvenire del 6 luglio 2012
No all’accidia egoista dal Evangelium Gaudium di Papa Francesco
81. Quando abbiamo più bisogno di un dinamismo missionario che porti sale e luce al mondo, molti laici temono che qualcuno li inviti a realizzare qualche compito apostolico, e cercano di fuggire da qualsiasi impegno che possa togliere loro il tempo libero. Oggi, per esempio, è diventato molto difficile trovare catechisti preparati per le parrocchie e che perseverino nel loro compito per diversi anni. Ma qualcosa di simile accade con i sacerdoti, che si preoccupano con ossessione del loro tempo personale. Questo si deve frequentemente al fatto che le persone sentono il bisogno imperioso di preservare i loro spazi di autonomia, come se un compito di evangelizzazione fosse un veleno pericoloso invece che una gioiosa risposta all’amore di Dio che ci convoca alla missione e ci rende completi e fecondi. Alcuni fanno resistenza a provare fino in fondo il gusto della missione e rimangono avvolti in un’accidia paralizzante.
82. Il problema non sempre è l’eccesso di attività, ma soprattutto sono le attività vissute male, senza le motivazioni adeguate, senza una spiritualità che permei l’azione e la renda desiderabile. Da qui deriva che i doveri stanchino più di quanto sia ragionevole, e a volte facciano ammalare. Non si tratta di una fatica serena, ma tesa, pesante, insoddisfatta e, in definitiva, non accettata. Questa accidia pastorale può avere diverse origini. Alcuni vi cadono perché portano avanti progetti irrealizzabili e non vivono volentieri quello che con tranquillità potrebbero fare. Altri, perché non accettano la difficile evoluzione dei processi e vogliono che tutto cada dal cielo. Altri, perché si attaccano ad alcuni progetti o a sogni di successo coltivati dalla loro vanità. Altri, per aver perso il contatto reale con la gente, in una spersonalizzazione della pastorale che porta a prestare maggiore attenzione all’organizzazione che alle persone, così che li entusiasma più la “tabella di marcia” che la marcia stessa. Altri cadono nell’accidia perché non sanno aspettare, vogliono dominare il ritmo della vita. L’ansia odierna di arrivare a risultati immediati fa sì che gli operatori pastorali non tollerino facilmente il senso di qualche contraddizione, un apparente fallimento, una critica, una croce.
83. Così prende forma la più grande minaccia, che «è il grigio pragmatismo della vita quotidiana della Chiesa, nel quale tutto apparentemente procede nella normalità, mentre in realtà la fede si va logorando e degenerando nella meschinità».[63] Si sviluppa la psicologia della tomba, che poco a poco trasforma i cristiani in mummie da museo. Delusi dalla realtà, dalla Chiesa o da se stessi, vivono la costante tentazione di attaccarsi a una tristezza dolciastra, senza speranza, che si impadronisce del cuore come «il più prezioso degli elisir del demonio».[64] Chiamati ad illuminare e a comunicare vita, alla fine si lasciano affascinare da cose che generano solamente oscurità e stanchezza interiore, e che debilitano il dinamismo apostolico. Per tutto ciò mi permetto di insistere: non lasciamoci rubare la gioia dell’evangelizzazione!
No al pessimismo sterile Sì alle relazioni nuove generate da Gesù Cristo No alla mondanità spirituale
Spunti per una riflessione sull’ Accidia
- Pensi sempre a quello che potresti fare dopo al posto di quello che fai ora o che devi fare ora? Il tuo tempo è sempre quello del poi o del mai?
- Rimandare è il tuo sport preferito oltre a quello di lamentarti per quello che si fa ora?
- Tutto è brutto, tutto fa schifo, tutto è noioso … ma forse sei tu che vedi tutto così … forse sei tu che hai messo gli occhiali neri e vedi tutto nero