Il secolo della globalizzazione e della nascita dell’homo technologicus porta con sé il fallimento delle ideologie, il cui tracollo è storicamente segnato da tre eventi decisivi: la caduta del muro di Berlino con il conseguente crollo del comunismo nel 1989, la perestroika sovietica nel 1995, il crollo del capitalismo con la crisi finanziaria del 2008. Il post modernismo coincide proprio con la fine delle ideologie e porta con sé nuovi schemi di pensiero e di azione la cui interpretazione non può più essere affidata a forme interpretative passate.
Serve pertanto come un nuovo schema di riferimento, che rispecchi ampiamente la novità storica già introdotta a suo tempo dal sorgere della società industriale di massa: il passaggio da una società statica ad una società dinamica. La rivoluzione tecnico-industriale, infatti, «segnava la fine della persona umana come principio equilibratore concreto e immediato tra la natura e la vita dell’uomo; perché introduceva un principio diverso, destinato a diventare sempre più potente, anzi prepotente (…) la tecnica e il progresso della tecnica». Il progresso della scienza che si identifica con lo sviluppo tecnologico ha introdotto una nuova forma interpretativa non necessariamente legata al reale: la realtà virtuale, più facile da accogliere e gestire, perché costruita o scelta a misura del proprio desiderio. Nasce così un orientamento diffuso verso il realitysmo che sorge sulla negazione del realismo:“non ci sono più fatti oggettivi ma soltanto interpretazioni”.
Concretamente questa forma di relativismo si manifesta attraverso tre forme di decostruzione della realtà:3 l’ironia contro la verità non solo religiosa ma anche scientifica, la desublimazione per riabilitare il desiderio (essere ciò che si desidera) e sminuire la ragione (essere ciò che si deve essere) e la deoggetivizzazione in cui prevale l’idea di solidarietà soggettiva, legata al sentimento personale, su quella oggettiva, dipendente da una pretesa oggettività della verità. Questo comporta che, con la deoggettivizzazione, il post moderno pone l’equazione fondamentale “verità = mito”.
Per evitare le trappole del postmodernismo, la fede ha bisogno di ripensare a nuovi modi di evangelizzazione della cultura, perché la cultura garantisca la crescita integrale dell’uomo e perché la fede possa trovare nella ricerca universitaria nuovi strumenti con cui pensare ed elaborare la Rivelazione. Certamente le difficoltà che il postmodernismo porta con sé non devono indurci nella tentazione di non riconoscere alla cultura odierna i suoi lati positivi: «il gusto per le scienze e la rigorosa fedeltà al vero nella indagine scientifica, la necessità di collaborare con gli altri nei gruppi tecnici specializzati, il senso della solidarietà internazionale, la coscienza sempre più viva della responsabilità degli esperti nell’aiutare e proteggere gli uomini, la volontà di rendere più felici le condizioni di vita per tutti, specialmente per coloro che soffrono per la privazione della responsabilità personale o per la povertà culturale» (GS, 57).
Tutti questi elementi possono essere punti di riferimento utili per iniziare un cammino che ponga al centro la carità intellettuale e, in particolate, la vocazione specifica degli universitari nella Chiesa e nella società.