PROGRAMMA
Visita all’Abbazia di Valvisciolo
PRANZO DA ROCCO a CASTRO DEI VOLSCI
Visita all’Abbazia di Fossanova
Quota di partecipazione: 50 euro
07.30: partenza con pulmann GT dal sagrato della Basilica
Sono aperte le iscrizioni in Sacrestia o Ufficio turistico
ALCUNE NOTIZIE
è situata nel territorio di Sermoneta, ai piedi del Monte Corvino, a meno di 100 metri sul livello del mare. La storia di questo monastero è complessa ed anche il nome nasconde una parte di mistero. Valvisiciolo può significare Valle dell’Usignolo (vallis lusciniae) o Valle delle Visciole (una varietà di ciliegie selvatiche).
È assodato che in origine il nome individuasse un altro monastero cistercense in territorio di Carpineto Romano, del quale oggi rimangono scarsi ruderi. All’inizio del secolo XIV i monaci di Carpineto abbandonarono i loro monti e si trasferirono nel nuovo monastero al quale attribuirono il nome di Valvisciolo. La chiesa è assai semplice, a tre navate di cinque campate ciascuna, priva di transetto. L’abside è rettangolare, i pilastri sono possenti e piuttosto bassi e sostengono archi a tutto sesto; il presbiterio ha quattro gradini sopra il livello del pavimento.
Il chiostro, al quale si accede dalla navata di destra, è a pianta quadrata regolare, e in origine coperto da un tetto leggero, poi sostituito con volte a crociera liscia; è delineato da archi a sesto tondo che poggiano su coppie di colonnine dotate di capitelli che fanno da cornice al giardino interno disegnato attorno alla cisterna centrale. Come in tutte le abbazie cistercensi, è attorno al chiostro che si sviluppano le varie sezioni del monastero: chiesa, refettorio, dormitorio, scrittorio, cucine. Il refettorio, parallelo al chiostro, è ad una sola navata.
Dall’ingresso laterale, che immette al chiostro, si può accedere ai restaurati locali del Dispensarium dell’Abbazia dove, nell’ottobre del 2003 è stata istituita la Galleria dedicata all’Abate Stanislao White (1838-1911), generoso monaco irlandese che tanto si prodigò per l’Abbazia di Valvisciolo, da lui diretta tra la fine del 1800 ed i primi del ’900. La Galleria nasce dalla donazione da parte di Domenico Guidi, di 41 opere, quasi tutte incisioni originali e disegni databili tra l’inizio del Cinquecento e l’Ottocento. Nella stessa sala sono esposte alcune opere del fondo storico dell’Abbazia.
è sita nel comune di Priverno, 5 km a sud del centro urbano, in provincia di Latina. L’abitato sito tutt’intorno ha l’aspetto di vicus e prende il nome da una cloaca che nei primi tempi del piccolo borgo (ora frazione di Priverno) era chiamata Fossa Nova.
L’abbazia, la cui costruzione durò dal 1163 al 1208, è un perfetto esempio del primo stile gotico italiano[1], anzi più precisamente di una visibile forma di transizione dal romanico al gotico; l’interno è spoglio o quasi di affreschi (ne rimangono, almeno fino al 1998, alcuni brandelli sulle pareti) secondo l’austero memento mori dei monaci cistercensi.
Nel infermeria vi è la stanza ove visse, pregò e meditò san Tommaso d’Aquino negli ultimi giorni della sua vita e dove morì nel 1274; ancora oggi in chiesa se ne conserva la semplice tomba vuota (il corpo fu trasferito dai domenicani a Tolosa alla fine del XIV secolo) composta da una lastra di marmo o travertino rettangolare.
Il complesso abbaziale noto come rifacimento di quello benedettino è costituito dal chiostro, fulcro dell’intero organismo, dalla chiesa di Santa Maria, dalla Sala Capitolare con sovrastanti dormitori dei monaci, dal refettorio, dalla cucina e dai dormitori dei conversi. Completano l’insieme la casa dei pellegrini, il cimitero e l’infermeria.
Consacrata nel 1208, conserva la nuda architettura, il magnifico rosone e tiburio e i capitelli finemente scolpiti, a testimonianza del ruolo preminente esercitato nella zona. Gli edifici del complesso monumentale sono recintati così da apparire come un borgo, per altro arricchito dai resti di una villa romana del I secolo a.C., visibili proprio di fronte alla chiesa.
In uno dei locali dell’abbazia si vendono i prodotti dei monaci, dagli alimentari ai vini ed ai liquori. Attualmente in abbazia, dal 1935, abita una comunità dei frati minori conventuali (francescani).
La chiesa si presenta di una spettacolare e severa grandiosità; la facciata (che doveva essere preceduta da un portico) è semplice ma maestosa, con portale fortemente strombato. Il portale è poi costituito da un arco a sesto acuto nella cui lunetta è ripreso il motivo del rosone, mentre nella parte inferiore, un mosaico cosmatesco sostituisce un’iscrizione dedicata a Federico Barbarossa.
Al di sopra del portale riccamente decorato, la facciata è adornata da un grande rosone. Originariamente, esso era più piccolo: di questa precedente versione resta una traccia che sembra coronare l’attuale. Ventiquattro colonnine binate, sui cui capitelli si impostano archetti a sesto acuto, funzionano da armatura della vetrata intermessa. L’oculus ottagonale al centro del frontone è un rifacimento di uno originario che doveva essere simile a quello dell’abside. La possanza della facciata è accentuata dall’esposizione dei potenti contrafforti.
La struttura della chiesa, costruita interamente in travertino, è basilicale. Ha pianta cruciforme; il braccio longitudinale, che si sviluppa secondo un asse mediano ed è diviso in tre navate, è attraversato perpendicolarmente dal transetto. La lunghezza della navata centrale è scandita nella prima parte da sette campate rettangolari, termina nel presbiterio e nell’abside che formano un unico corpo rettangolare. Il sistema dei sostegni è formato da massicci pilastri rettangolari. Le arcate che conducono dalla navata mediana a quelle laterali sono rette da semicolonne. Altre semicolonne pensili (cioè poste su una mensola a distanza dal suolo) salgono a portare gli archi trasversi della navata centrale.
Dal centro del transetto si erge il tiburio a pianta ottagonale, elevato di due piani e sormontato dalla lanterna, che sostituiva il campanile. Le campane si suonavano nel sito del coro con funi che pendevano davanti l’altare maggiore. Nei due bracci, invece, sono ricavate quattro cappelline: dalle due alla sinistra dell’altare scende la scala con la quale i monaci dal dormitorio passavano direttamente in chiesa. Una cornice di semplice fattura, tipicamente borgognona, corre lungo i due lati della navata centrale a spezzare il verticalismo dell’ambiente. È all’inizio del XXI secolo che viene ultimato il restauro del pavimento della basilica.
Il complesso cistercense segue nell’impianto spaziale le regole tradizionali dell’architettura monastica: al centro, dal chiostro si accede a tutti gli altri locali ed intorno le dipendenze abbaziali necessari al sostentamento dei monaci: laboratori, magazzini, stalle, ecc. L’intero centro era, poi, delimitato da alte mura delle quali rimane la porta d’ingresso.
Nel chiostro ritroviamo la stessa semplicità di forme della chiesa, se si eccettua il lato meridionale che appartiene senza dubbio ad una costruzione assai più tarda. Le arcatelle a tutto sesto si snodano da colonnine doppie lisce e le gallerie sono coperte da volte a botte. Ai tre lati di stile romanico si contrappone quello costruito a sud in stile gotico: arcatelle di sezione acuta, colonnine abbinate di forme differenti e assai complesse che però non contrastano con le forme degli altri tre lati nonostante la semplicità di quest’ultimi. Ben conservata è pure la fontana del chiostro (lavabo) costruita nel XIII secolo di fronte al refettorio.
La sala capitolare a due navate divise in sei campate è coperta da volte a crociera costolonata e sostenuta da due pilastri cosiddetti fascicolari, perché formati da un fascio di colonnine. La sala, databile al XIII secolo, è anch’essa di chiaro stile gotico. Tutti i particolari decorativi sono di una grande eleganza di forme.
Nel refettorio, molto vasto e posto perpendicolarmente al chiostro secondo la regula, è conservato ancora integro il pulpito di lettura con la relativa scala. Quest’ambiente, di pianta rettangolare, è coperto da un soffitto in legno i cui due spioventi poggiano su cinque grandi archi a sesto acuto, di profilo quadrato, mentre tredici finestre (di cui cinque murate) dovevano dare grande luminosità alla sala.
Staccata dall’insieme di stabili che orbitano intorno al chiostro, si trova l’infermeria dei monaci coristi. Al secondo piano si trova la cella dove morì san Tommaso, ora trasformata in cappella: sull’altare, rifatto dall’abate commendatario cardinale Francesco Barberini, si trova un bassorilievo raffigurante la morte del santo così come ce la tramanda la sua biografia, mentre sta spiegando il Cantico dei Cantici ai monaci.