Caro reverendo parroco,
Lei spero che non si arrabbi se gli faccio un’osservazione, che però vale anche per gli altri preti mica solo per lei […]. Vedo che quando avete finito di distribuire la comunione, vi mettete seduti mentre dietro le spalle ancora si ripongono le ostie avanzate. Eh, no! Mica è bello. Il mio parroco di origine, in una cittadina abruzzese aspetta che il tabernacolo sia chiuso, prima di accomodarsi […] . Allora che ne dice?
Dora (ma non è il mio nome vero)
Gentile signora Dora, o come si chiama,
cerco di risponderle. Intanto le faccio i miei complimenti per l’attenzione con cui segue la celebrazione, tanto da notare qualche defaillance nel comportamento dei celebranti. Ma veniamo al dunque. Immaginiamo che lei partecipi a una santa messa e, come il sacerdote e tanti altri fedeli (le comunioni sono sempre molte nella nostra basilica), assuma il corpo di Cristo, presente nell’ostia santa. Ecco, in quel momento è lei il tabernacolo vivente. Pensare di tenere dentro di sé il Signore fatto pane che si immedesima in lei tanto da diventare carne della sua carne, sangue del suo sangue, supera ogni altra possibile cerimonia, ogni altro gesto, ogni altro pensiero, ogni altra attenzione. Non crede che sia una cosa unica nel suo genere, il fatto di potersi concentrare su un evento che nessuna fantasia avrebbe potuto immaginare? Lei potrebbe dire in quei momenti: “Sono diventata una casa, la casa di Dio; Egli è mio ospite, è con me tanto da diventare me!”. In questo caso la riposizione nel tabernacolo delle ostie avanzate diventa un fatto secondario. Lo
stesso sacerdote si ferma per qualche istante proprio per pensare a questo impressionante mistero del Signore che si incarna nella sua carne. C’è sempre tempo per poterlo pregare nel tabernacolo di metallo o di marmo: approfitti di quegli istanti preziosi per adorarlo dentro di sé.