Dagli scritti di don Giuseppe Pollano
Ora tu dimmi: come collocheremo quest’ideale di beatitudine nella nostra società che «si diverte»? Perché è inutile negarlo: la nostra avventura nella ricerca della felicità finisce presto, appena sulle rive del vero desiderio. E la grande parola del nostro «tempo libero», svagarsi, che a volte diventa impegnativa al punto da suonare ricrearsi, non ci ha regalato alcun paradiso.
Sembra dunque estranea a noi, sulle prime, la beatitudine della umile vergine glorificata, e invece è proprio il suo passo leggero che attendiamo di sentir arrivare fino alla nostra porta.
Non oseremo confessarlo, forse; ma l’attesa rimane:
noi abbiamo bisogno di diventare beati come Dio ci sa rendere,
e perciò continuiamo a contemplare la giovane santissima regina d’ogni evangelo come la creatura riuscita, la più riuscita di tutte.
Nasce di qui la revisione delle nostre idee sulla speranza della beatitudine. Essere o non essere come Maria? Proclamarla, sì o no, felice? Decidere, sì o no, che vogliamo essere persone così, Chiesa così, gloria di Dio così?
Si tratta infatti di diventare pure noi lodi di gloria. E che ne dici tu, d’una proposta come questa calata nel caos dei nostri passa tempi febbricitanti? Se ami credere, sperare e amare come Cristo Gesù c’insegnò: ti troverai d’accordo e questo io ti auguro; ma se la beatitudine di Maria t’apparisse troppo «celeste», o come talvolta si dice «disincarnata», allora ravvediti. Non è coltivando te e la tua carne che sarai più incarnato, visto che la carne non giova a nulla, perché è lo Spirito che dà vita. Ma io spero che la tua vista sia limpida grazie al collirio di Dio.