Il 10 marzo, ad un’ora e mezzo pom., il Padre Giacinto dei Carmelitani scalzi venne a prendere Don Bosco con un calesse per condurlo col Ch. Rua alla Basilica di S. Pancrazio e a S. Pietro in Montorio.
Queste due chiese sorgono sul monte Gianicolo al di là del Tevere. Presso la prima, allora quasi rovinata pei rivolgimenti del 1849, è il Convento dei Carmelitani scalzi. D. Bosco stesso ci lasciò memoria ne’ suoi scritti, di questa giornata.
“Entrati nella Basilica di S. Pancrazio, mentre ci eravamo inginocchiati a pregare innanzi all’altare del giovanetto martire,
- Venite meco, ci disse il P. Giacinto, e andremo nelle catacombe.
- Aveva apparecchiato un lume per caduno; e, con una guida pratica di que’ sotterranei, ci siamo messi a seguirlo. Quasi nel mezzo della chiesa avvi uno sportello nel pavimento. Quello si alza e di là si apre un foro oscuro e profondo. Cominciano le catacombe.
Sull’entrata sta scritto: In hoc aditu decollatus est S. Pancratius marytr Christi: In questo adito ebbe troncata la testa S. Pancrazio Martire. Ed eccoci nelle catacombe. Immaginatevi lunghi corridoi ora stretti e bassi, ora alquanto più aperti ed alti; ora piani, ora in discesa; ora diritti, ora tortuosi; ora attraversati da altri corridoi non più larghi di un metro che sì perdono nelle tenebre; avrete il primo aspetto di que’ sotterranei.
Talvolta queste gallerie formano quattro o cinque piani soprapposti e vi si discende per scale strettissime ed anche pericolose. Di qua e di là vi sono le tombe scavate parallelamente nel tufo in più ordini a somiglianza di scaffali. Ivi anticamente seppellivansi i cristiani e specialmente i martiri. Quelli che davano la vita per la fede erano designati con emblemi particolari. La palma era segno della vittoria riportata contro ai tiranni; l’ampolla indicava che aveva sparso il sangue per la fede; il P significa, pax Christi, oppure pro Christo passus. In altri vi si disegnavano gl’istrumenti con cui avevano sofferto il martirio.
Talvolta questi emblemi si rinchiudevano nella piccola tomba del Santo. Quando non infierivano molto le persecuzioni si scriveva nome, cognome del martire con qualche parola esprimente alcun luminoso tratto della sua vita. Ai semplici cristiani poi non mettevasi generalmente alcun segno, oppure qualche iscrizione brevissima greca o latina che indicasse la persona sepolta. Ma l’emblema ordinario era il pesce, perchè la parola greca che esprime pesce viene colle sue lettere a significare le iniziali delle seguenti parole: GESU’
CRISTO FIGLIUOLO DI DIO SALVATORE.
- Ecco, ci disse la guida, quivi è il luogo dove era seppellito S. Pancrazio, accanto a lui S. Dionigi suo zio, e qui vicino un altro suo parente. – Noi abbiamo visitate quelle tombe che rappresentano una cameretta, intorno a cui sì vedono iscrizioni antiche che non abbiamo saputo leggere. In mezzo alla volta avvi dipinto un giovanetto che ci parve rappresentare S. Pancrazio. Il dipinto non è molto perfetto per l’arte, ma è assai prezioso perchè ci rammenta come nei primi secoli della Chiesa i santi fossero venerati nelle loro immagini. – Ecco qua una cripta, ci disse di nuovo la guida.
- La cripta, parola greca che vuol dire profondità, è un luogo un po’ più spazioso dell’ordinario. Qua i cristiani solevano radunarsi in tempo delle persecuzioni, e assistevano ai divini misteri. In un lato esiste ancora l’altare antico sopra cui si celebrava il S. Sacrifizio. Per lo più la tomba di qualche martire serviva di altare. Dopo un po’ di cammino ci fece vedere la cappella ove San Felice Papa era solito venire per riposarsi e celebrare la santa Messa.
A poca distanza è il luogo dove egli fu sepolto.
Di qua e di là vedevamo scheletri di corpi umani ridotti a pezzi dall’edacità del tempo, e la nostra guida ci assicurò che, continuando più avanti, saremmo giunti a ritrovare il luogo ove erano martiri e le lapidi colle iscrizioni intatte. Ma noi eravamo già molto stanchi. L’aria sotterranea, l’afa che là si sente, la pena che si prova a camminare, giacchè ognuno deve badare a non dare del capo, a non urtare colle spalle e a non sdrucciolare coi piedi, tutte queste cose affaticano assai. Di più, ci diceva la nostra guida, che quei sotterranei si vanno ognora moltiplicando e che taluno di essi giunge fino alla lunghezza di quindici e venti miglia. Fummo pertanto ricondotti là donde eravamo partiti, e giunti sulla piazza della chiesa prima di partire abbiamo veduto una iscrizione a sinistra della porta maggiore. Era scritto così: Coe meterium sancti Calipodii presbyteri et martyris Christi. Di là si apre una porta e si entra in un cimitero, ovvero in altre catacombe, chiamate di San Calepodio, sia perchè questo santo sacerdote si adoperò per scavarle, sia anche perchè egli fu ivi sepolto. Era nostro desiderio di andare anche qui a fare una visita; ma ci fu detto che il locale era pericoloso, e che, correndo pericolo della vita, non conveniva andarci.
Montati di nuovo in vettura col Padre Giacinto, c’incaminammo giù dal monte Gianicolo verso Roma alla volta di S. Pietro in Montorio.
E’ questa una delle chiese fondate da Costantino il Grande, ricca di molte statue, dipinti, e marmi. Qui si venera un’immagine miracolosa della Madonna detta della Lettera.
Tra la chiesa e il convento avvi un tempietto di forma rotonda, opera tra le più insigni del Brabante. Esso è edificato nel luogo ove, asserivasi, fu martirizzato S. Pietro. Nella parte posteriore avvi una scaletta che conduce ad una sala sotterranea anche rotonda; nel mezzo di quella cappella si vede un foro ove arde continuamente un lume. Colà posava in terra la testa della croce su cui San Pietro fu posto a capo rovescio.
Vista la magnifica fontana di Paolo V, e passato il Tevere, il fontanone di Ponte Sisto e Porta S. Pancrazio, il Padre Giacinto ebbe la bontà di condurci colla sua vettura a casa, e noi ci siamo volentieri andati per prendere un po’ di riposo, poi recitare il breviario e scrivere alcune particolarità riguardanti le cose vedute.