
Illustre parroco,
mi permetto di fare un’appunto. Una domanda mi sorge spontanea quando ascolto le letture durante la celebrazione della messa. Perché il Vangelo parla solo di “discepoli”, mentre con Gesù c’erano anche delle donne che lo seguivano […]. Sbaglio o non c’è mai il vocabolo al femminile? […].
(lettera firmata)
Gentile signora,
la sua osservazione è acuta, ma la risposta è alquanto semplice. Nella lingua aramaica, quella che si parlava in Galilea ai tempi di Gesù, non esisteva un vocabolo per definire le donne “discepole”, non esisteva insomma il femminile di discepolo. Nella tradizione ebraica era impensabile che delle donne potessero seguire un rabbi, diventandone discepole. Le regole erano ferree: le donne non potevano uscire se non con il marito; non potevano parlare in pubblico con un dottore della legge, o un sacerdote del tempio, o un qualsiasi estraneo; non era loro permesso leggere le sacre scritture nella sinagoga né testimoniare in tribunale. Tant’è che Gesù non poté nemmeno inviarle come gli altri discepoli ad annunciare ovunque la buona notizia del Regno: non sarebbero state credute, anzi sarebbero state bollate come peccatrici. Gesù tuttavia, e in questo fu non solo un innovatore ma addirittura un rivoluzionario, le considerò sempre discepole alla pari dei maschi e il primo annuncio della risurrezione lo riservò proprio alle donne che a loro volta lo trasmisero ai discepoli, i quali a tutta prima – da buoni ebrei osservanti – non ci cedettero… tanto per cambiare!