L’organo italiano ha sostanzialmente mantenuto per circa quattro secoli, dal ’400 alla seconda metà dell’800, delle caratteristiche costanti, riassumibili nei seguenti punti: unica tastiera, leggera e sensibile, la cui estensione dipende dalla grandezza dello strumento; pedaliera avente un’estensione limitata, costantemente unita al manuale, talvolta senza registri propri; disposizione fonica incentrata essenzialmente sul ripieno, suddiviso in registri che ne compongono le singole file; quantità variabile (per epoca, scuola e grandezza dello strumento) di registri da “concerto” (flauti, voce umana, ance ecc.) spesso divisi in bassi e soprani. Riguardo a quest’ultimo punto, è da dirsi che la spezzatura dei registri permetteva a questi di suonare solo nella prima o nella seconda metà dalla tastiera, rendendo così possibile l’avere simultaneo di due sonorità diverse, pur avendo un unico manuale. Ciò, insieme ad altri fattori di ordine liturgico-musicale, fece sì che in Italia non si sviluppasse, come in altri paesi, la moltiplicazione delle tastiere, sebbene già dalla fine del ’500 alcuni grandi organisti italiani fossero provvisti di doppio manuale.
Nell’800, l’organo italiano ha subito, più che in qualsiasi altro periodo, radicali trasformazioni. Nella prima metà del secolo era tale il consenso generale per il melodramma che anche la musica organistica ne fu profondamente influenzata. Negli organi di quel periodo si moltiplicarono i registri orchestrali e nelle chiese abbondavano le esecuzioni di sinfonie, arie, sonate, versetti e pastorali, di evidente ispirazione operistica, che mandavano letteralmente in visibilio l’uditorio. Sappiamo ad esempio che durante le esecuzioni di Padre Davide da Bergamo, alo secolo Felice Moretti (1791-1842), uno fra i più autorevoli organisti-compositori del periodo, l’entusiasmo della folla era tale che per contenerlo necessitava l’intervento di guardie armate. Nella seconda metà del secolo, però, le cose si capovolsero e si avvertì il desiderio (di cui si fece portavoce il Movimento Ceciliano, largamente appoggiato dalla Chiesa), di restaurare la musica sacra. Questa tendenza, unitamente all’interesse nutrito verso nuove tecnologie e nuove sonorità da tempo presenti negli organi d’oltralpe e relativa letteratura, costituirono le premesse per il cambiamento dell’organo italiano, i cui nuovi ideali si possono riassumere nei seguenti punti:impiego di almeno due tastiere e pedaliera autonoma; registri non più spezzati ma estesi a tutta la tastiera; predominanza dei registri di fondo importati dall’estero che con i loro amalgami scuri rendevano il suono più consono al nuovo tipo di letteratura tardoromantica e sinfonica; abolizione dei registri orchestrali particolarmente coloristici di stampo romantico, classico o barocco (anche molti strumenti antichi furono mutilati di tali registri che furono rimpiazzati da registri violeggianti o da melensi registri oscillanti); sostituzione della trasmissione meccanica con quella pneumatica prima ed elettrica poi. Tali principi vennero applicati tuttavia per la prima volta solo nel 1886 con la costruzione del nuovo organo Morettini, tuttora funzionante nella basilica di S. Giovanni in Laterano a Roma. Altra caratteristica dell’organo di quel periodo, mantenuta fino agli anni ’60 del nostro secolo, fu l’assenza della cassa esterna (vedi anche il nostro organo), tant’è che l’organo con canne in aria libera, ossia non contenute all’interno della cassa, fu denominato “organo ceciliano” (dalla seconda metà degli anni ’60, oltre ad essere tornati alla trasmissione meccanica, per gli evidenti e molteplici vantaggi che comporta rispetto a quella elettrica, si è riscoperta l’efficacia della cassa esterna, che, oltre a proteggere le canne e altre parti interne, ed a conferire all’organo un’architettura concorde alla sua struttura fonica, amalgama i suoni e ne determina la direzione). Il desiderio di ritorno alla tradizione non tardò tuttavia ad arrivare e già nel 1905 a Torino e nel 1906 a Milano ebbero luogo due convegni di musica sacra, seguiti 24 anni dopo dall’Adunanza organistica di Trento, in cui si stabilirono alcune norme che avrebbero definito la futura fisionomia dell’organo italiano. In entrambi si indicò, ad esempio, che nel progetto di un nuovo organo avessero priorità quei registri appartenenti alla tradizione italiana, con particolare riguardo al ripieno, alla voce umana, ecc. Nell’ultimo, in particolare, si stabiliscono anche le estensioni standard di tastiere e pedaliera (61 e 32 note dal do1) e che si accogliesse tutto ciò che di buono offre la moderna fonica.
Il primo strumento realizzato secondo i canoni dell’Adunanza di Trento è il grande organo a cinque tastiere con 6756 canne, costruito nel 1932 dalla ditta Mascioni di Cuvio (Varese) e ubicato, tuttora, nella sala dell’Istituto di Musica sacra a Roma. Fra i promotori del movimento emersero Raffaele Manari, grande organista e compositore, insegnante nello stesso Istituto Pontificio ed i suoi due allievi Ferruccio Vignanelli e Fernando Germani. Quest’ultimo, organista nella basilica di S. Pietro in Vaticano, insegnante di Organo al conservatorio di musica S. Cecilia a Roma e soprattutto concertista di indiscussa fama mondiale, reduce di numerose tournée in Europa, ma soprattutto in America, dove suonò organi colossali con sonorità di ispirazione inglese e francese, riportò le sue ripetute esperienze in Italia, concependo strumenti grandiosi, pretesi per poter eseguire praticamente tutto. Fu l’avvento dell’organo eclettico ed un esempio particolarmente significativo è rappresentato dall’organo, progettato dallo stesso Germani e costruito dalla ditta Tamburini di Crema nel 1951, per l’Auditorio Pio di via della conciliazione a Roma, e da poco trasferito nella parrocchia di S. Giovanni Bosco a Bologna. E’ senza dubbio uno dei più grandi organi d’Italia, con le sue cinque tastiere e le 12.278 canne distribuite su 156 registri.