Tifare per il figlio.
Ogni bambino nasce ricco. Arriva sulla Terra con quei preziosi trecento grammi di cervello che gli danno possibilità pressoché infinite. Sì, se utilizzassimo a pieno il nostro cervello, salterebbero tutte le scale per misurare l’intelligenza, tutti i test mentali. Il cervello ha la capacità di immagazzinare dieci fatti nuovi al minuto secondo, può accogliere una quantità di informazioni pari a centomila miliardi! Questo per il solo cervello. E che dire della capacità di fantasticare, di immaginare, di creare, che risiede nella mente di un bambino? Più ancora, che dire della ricchezza del cuore che saprà amare? E della bocca che arriverà a parlare, a pregare? Ecco il bambino: un orizzonte di possibilità incalcolabili!
Abbiamo, dunque, tutte le ragioni per essere tifosi di nostro figlio.
Chi tifa per una squadra, desidera che vinca, ma non può entrare in campo: deve lasciare ai giocatori il compito di condurre la partita.
Così nell’educazione: deve essere lui, il figlio, a costruirsi la vita; non possiamo sostituirlo, non possiamo prendergli il posto. Però possiamo stimolarlo, possiamo incoraggiarlo. Possiamo tifare!
Tifiamo perché il tifo passa entusiasmo. E chi ha entusiasmo ha grinta da vendere.
Tifiamo perché la correzione può fare molto, ma l’incoraggiamento fa di più.
Tifiamo perché il tifo gli rivela energie nascoste. E questo è un dono straordinario.
Lo sosteneva giustamente il filosofo francese Louis Lavelle (1883-1951): “Il maggior bene che possiamo fare agli altri non è comunicare loro la nostra ricchezza, bensì rivelargli la loro”.
Gli psicologi, invece, parlano di ‘effetto Pigmalione’. Secondo la leggenda, Pigmalione era un mitico re di Cipro che aveva il dono della scultura. Un giorno scolpì, in bianchissimo avorio, una figura di donna talmente bella che desiderò diventasse sua moglie. Pregò allora gli dèi di trasformarla in donna. Gli dèi lo esaudirono e Pigmalione sposò la statua trasformata in bellissima carne. Ecco: il desiderio, l’occhio buono, l’aspettativa, riescono a dar vita anche all’avorio, anche alle pietre.
È provato che gli insegnanti che credono nei loro ragazzi, che attendono tanto da essi, hanno, come risposta, prestazioni superiori a quelle date ad insegnanti pessimisti, freddi, poco fiduciosi.
È la triste prova del fatto che chi stima corto l’ingegno di una persona glielo accorcia ancor più ma è anche l’attesa conferma del proverbio cinese: “Credendo nei fiori, si fanno sbocciare”.
L’AUTOSTIMA
L’autostima è una molla fondamentale per la crescita del figlio.
Hanno tutte le ragioni gli psicologi a sostenere che per vivere bene, ogni persona deve riuscire a dire di se stessa: “Io sono ok!”.
I genitori patentati lo sanno bene, quindi:
- non usano mai (assolutamente mai!) parole invalidanti (‘stupido’, ‘cretino’, ‘imbranato’…), ma solo parole incoraggianti: ‘bravo’, ‘siamo orgogliosi di te’, ‘sei forte’… Il figlio sente (quanto sente!) l’apprezzamento dei genitori! Insomma, buttiamo nel cestino della carta straccia tutte le parole che rigano l’anima!
- accettano il loro figlio pienamente. Un giorno il figlio del famoso pilota canadese Gilles Villeneuve sbuffò con i giornalisti: “Tutti pretendono da me prestazioni straordinarie come quelle di mio padre. Per favore, lasciatemi essere semplicemente Jacques Villeneuve”. Questa è saggezza!
- i genitori che non vogliono ferire l’autostima del figlio, dosano le loro aspettative nei suoi confronti. Aspettative esagerate, infatti, possono produrre una stima eccessiva nel figlio, stima che sovente viene frustrata dall’insuccesso per aver puntato troppo in alto. Di qui la delusione e la depressione. In questi casi l’autostima subisce un colpo mortale.
(Tratto da IL BOLLETTINO SALESIANO – Autore PINO PELLEGRINO)