Una sera un centinaio di ragazzi erano intenti a divertirsi e a giocare in un prato di Torino. Don Bosco, giovanissimo prete, aveva da poco avviato i suo nuovo apostolato oratoriano. All’improvviso presso la siepe di cinta si presenta un ragazzo di 15 anni. Pareva che desiderasse varcare il debole riparo della siepe e unirsi agli altri ragazzi. Non osava farlo e si era fermato lì a guardarli con una faccia triste e scura. Don Bosco lo vide, gli si avvicinò e gli rivolse varie domande: il ragazzo non rispose. Don Bosco dubitò seriamente che fosse muto e già pensava di parlargli con l’alfabeto dei muti. Tentò ancora un’ultima prova: gli pose carezzevolmente una mano sul capo e gli chiese:
- Che cos’hai, mio caro? Dimmi: ti senti male?
Il ragazzo con un fil di voce gli rispose per la prima volta:
- Ho fame.
Don Bosco mandò a prendere subito del pane e qualcos’altro. Quando il ragazzo si fu sfamato, Don Bosco tornò a interrogarlo. Venne a sapere che era un ragazzo immigrato, che faceva d sellaio, che era stato licenziato dal padrone perché aveva fatto una scenata. La notte innanzi aveva dormito sulla gradinata della metropolitana, la grande chiesa di Torino. Da parecchie ore si sentiva violentemente tentato a rubare per sfamarsi. Stava per compiere una qualche azione delittuosa che l’avrebbe condotto di filato in carcere, quando aveva incontrato Don Bosco. Non aveva bisogno soltanto di pane materiale, ma anche di tanta comprensione. E Don Bosco l’aveva capito e salvato.
Quindici anni: è l’età critica. Dai dodici ai quindici anni il ragazzo attraversa un periodo burrascoso. Il suo volto che fino allora era stato di lineamenti fini diventa grosso, pesante e sproporzionato.
All’armonia della fanciullezza succede la goffaggine dell’adolescenza. L’adulto perdona più facilmente una sgarbatezza al fascino di un fanciullo che a questo ragazzo scarruffato. « Non ti permetto di comandarmi in questo modo », grida talvolta invelenito alla mamma. Spesso la insulta e sbatte la porta. La mamma pensa, sconcertata: « Ecco il ringraziamento per tutto quello che faccio per lui. Mi ingiuria ». Non passa neanche un’ora e mentre è intenta a rigovernare la casa, due mani le si posano sugli occhi, due mani piene di tenerezza. E’ la voce del suo ragazzo che le dice: « Mammina, hai qualcosa di buono? Ho fame, tanta fame ». La mamma gli risponde con tono secco. Il ragazzo piange; si accusa da se stesso: « Lo so, sono tanto cattivo, mamma ». Mezz’ora dopo, la mamma gli rifiuta qualcosa; il ragazzo esplode: « Vado via da questa casa disgraziata ». E di nuovo esce sbattendo la porta. Decisamente è una peste. Sembra che provi piacere a rompere tutte le regole, a rivoltarsi contro tutti. I genitori e gli insegnanti lo sanno bene: è testardo come un bimbo di tre anni o come un mulo, ma è più pericoloso. Ha detto addio al paradiso della sua fanciullezza, ma non è ancora preparato per inserirsi nel mondo degli adulti. Si sente immensamente insicuro. « Tutti gli altri sono qualcosa e io sono nulla», diceva un ragazzo di 14 anni in preda a un profondo sconforto.
È il periodo della vita in cui il ragazzo abbatte ogni suo idolo precedente; gli piace devastare gli ordinamenti sociali. Certi genitori si dimettono davanti ai loro figli in quell’età critica e lasciano che tutto vada a catafascio. Il ragazzo sente che sta staccandosi dai suoi genitori. E ciò non avviene senza dolore per ambedue le parti. La maggior parte delle mamme di solito non comprende che è il momento in cui il ragazzo si stacca dalla madre per poterla più tardi amare di nuovo e in tutt’altro modo. « Mio figlio mi ha insultata », dicono disperate.
Sono tre anni duri da passare. A scuola il ragazzo peggiora; diventa un estraneo nella propria famiglia. Si dimostra altezzoso e prepotente. Ma quando viene la sera questo signorino orgoglioso ha paura di se stesso, è debole, non è padrone nemmeno dei propri istinti e delle proprie parole. Alla mamma che tenta di fargli come una volta una carezza davanti agli altri grida:
« Giù le zampe, non posso più sentirti ». Vorrebbe immediatamente punirsi per quella collera troppo precipitosa. Ha bisogno che un padre o un educatore gli parli, come Don Bosco, con una comprensione e un rispetto estremo. Ha bisogno che il babbo venga a sederglisi accanto e gli dica: « Ti capisco, ragazzo mio, lo so, l’ho provato anch’io quando avevo la tua età ». Ha bisogno che il babbo gli dia fiducia e che, senza sentirsi offeso, sappia conservare il silenzio quando il ragazzo è in una delle sue fasi di mutismo; che sappia rispondere al suo richiamo silenzioso.
Anche le ragazze hanno i loro anni critici e terribili. I genitori devono avere i nervi solidi davanti agli sbalzi di umore delle loro adolescenti, alla stupidità delle loro risate, alle crisi isteriche di lacrime. Le adolescenti mostrano una mania puntigliosa di coltivare « il segreto » o amicizie che sembrano squilibrate. Diventano pigre; sognano, chiacchierano, si trascinano indolenti. Ma nel loro cuore provano tristezza e spavento. Il loro atteggiamento così sciocco è per ingannare la propria paura. In realtà, hanno un enorme bisogno di comprensione.
Don Bosco una sera posò carezzevolmente la mano sul capo di un ragazzo di 15 anni e gli chiese: « Che cos’hai, mio caro? Dimmi: ti senti male? ». Quel ragazzo uscì dal suo mutismo e gli rispose: « Ho fame ». Quindici anni: l’età critica. I ragazzi hanno fame di comprensione. « Hanno più bisogno di amore quelli che apparentemente meno se lo meritano ».
Da “Educhiamo come Don Bosco” di Carlo de Ambrogio