13 Febbraio del 1860: Don Bosco si stava spostando a piedi dal centro della città di Torino verso la sua casa di Valdocco. Lungo la strada incrociò un gruppo di ragazzoni dai 16 ai 18 anni: sghignazzavano. Don Bosco puntò decisamente su di loro. Gli agganci del colloquio furono duri; Don Bosco si sentiva gelare dalla loro aggressività e strafottenza.
- Volete venire a casa mia?
- A far che?
- Vi potrei ospitare… potreste trovarvi un qualche lavoro.
Si guardarono ammiccando. Che strano prete era quello. Poi, accettarono e lo seguirono all’Oratorio.
Don Bosco si prodigò subito a sfamarli, poi li immise nel mazzo degli altri suoi ragazzi. I ragazzoni erano ancora allo stato brado. Quando andarono in dormitorio si abbandonarono all’indisciplina. L’indomani alcuni preferirono tornare a vivere sulla strada; gli altri accettarono di imparare un mestiere. Uno però si dimostrava particolarmente refrattario a Don Bosco e allergico alla disciplina. Don Bosco gli mise alle costole un coetaneo, chierico salesiano, perché ne avesse cura. Un giorno il chierico sorprese quel giovane in un momento di depressione psichica o meglio (disse poi quel ragazzo) di conversione: « Ho l’anima straziata. Non so quello che mi succede… Non ce la faccio più a vivere così bestialmente… Voglio tirarmi fuori da questo fango », gli ripeteva con accento compassionevole. Il chierico, dietro suggerimento di Don Bosco, lo guidò a confessarsi. Per Don Bosco la confessione era il sacramento della gioia. Quel ragazzo ne uscì con l’anima abbagliata di luce e di felicità. « Sono felicissimo » disse con un grido di sorpresa. Confidò a Don Bosco che a dargli l’ultima spinta era stata una visione interiore: mentre i suoi compagni cantavano: «Sia benedetta la santa e immacolata Concezione della beatissima Vergine Maria, Madre di Dio », aveva visto l’immagine della Madonna animarsi e tendergli dolcemente le mani in segno di invito. In quel momento finiva il suo incubo di adolescente.
L’adolescente prova talvolta paura di fronte al carattere ignoto dei suoi pensieri e sentimenti interiori. Si sente preda impotente di questi misteriosi e sconosciuti ospiti dell’anima. Non può fare a meno di esaltarsi fino allo zenit e subito dopo non può fare a meno di provare un profondo avvilimento e di sentirsi complessato. Che cosa gli succede? Certe eccitazioni lo colgono a tradimento; certe torbide brame lo tormentano così a lungo che egli è costretto a capitolare. I pensieri più impensati gli sfrecciano per la testa; certe volte è capace di restate per ore intere chino su qualche testo scolastico mentre il suo cervello è in piena effervescenza.
L’adolescente soffre in maniera acuta di un dissidio interiore: l’istinto si contrappone allo spirito; nell’area stessa della sua anima si sente lacerato tra odio e amore. Ha sempre l’impressione che un essere sconosciuto faccia sentire la sua voce dagli strati più profondi del suo intimo: il peccato. Il peccato lo attira perché, rileva San Paolo, «paga subito ».
Questo spiega la vibrante sensibilità che il ragazzo prova di fronte al demoniaco. Esperimenta sul vivo il dislivello tra « quello che è » e « quello che vorrebbe essere».
« Sono a pezzi – scrive un ragazzo di 16 anni; una parte di me mi trascina in basso verso meschini piaceri, l’altra parte vuol dimostrare di essere qualcosa. Presto non sarò più in grado di padroneggiare il mio caos interiore e sarò ridotto a un ammasso di macerie. Tutto mi fa schifo. Vorrei passare tutto il giorno al cinema…».
Una lettera pubblicata il 27 novembre 1967 su una rivista internazionale di altissima tiratura mette a fuoco il problema: « Se assisto a una farsa – scrive un giovane, – posso ridere; se si tratta di una tragedia, posso piangere; se è qualcosa che mi rende furioso, posso gridare… ma se assisto a uno spettacolo che esercita su di me uno stimolo torbido e demoniaco, che cosa posso fare? ». San Paolo nella Lettera ai Romani ha registrato il grido di tante anime giovanili: «Chi mi libererà da questo corpo di morte?». La risposta è trionfale: « Uno solo ci può liberare e darci la gioia: il Cristo ». Ecco perché Don Bosco faceva incontrare ogni ragazzo con Gesù: solo così riusciva a renderlo felice.
(da EDUCHIAMO COME DON BOSCO – Carlo De Ambrogio)