Dall’Enciclica Fratelli tutti, di papa Francesco (80-83)
Gesù propose questa parabola per rispondere a una domanda: chi è il mio prossimo?
La parola “prossimo” nella società dell’epoca di Gesù indicava di solito chi
è più vicino, prossimo. Si intendeva che l’aiuto doveva rivolgersi anzitutto a chi
appartiene al proprio gruppo, alla propria razza. Un samaritano, per alcuni giudei
di allora, era considerato una persona spregevole, impura, e pertanto non era
compreso tra i vicini ai quali si doveva dare aiuto. Il giudeo Gesù rovescia completamente questa impostazione: non ci chiama a domandarci chi sono quelli vicini a noi, bensì a farci noi vicini, prossimi.
La proposta è quella di farsi presenti alla persona bisognosa di aiuto, senza guardare se fa parte della propria cerchia di appartenenza. In questo caso, il samaritano è stato colui che si è fatto prossimo del giudeo ferito. Per rendersi vicino e presente, ha attraversato tutte le barriere culturali e storiche. La conclusione di Gesù è una richiesta: «Va’ e anche tu fa’ così» (Lc 10,37). Vale a dire, ci interpella perché mettiamo da parte ogni differenza e, davanti alla sofferenza, ci facciamo vicini a chiunque. Dunque, non dico più che ho dei “prossimi” da aiutare, ma che mi sento chiamato a diventare io un prossimo degli altri.
Il problema è che, espressamente, Gesù mette in risalto che l’uomo ferito era
un giudeo – abitante della Giudea – mentre colui che si fermò e lo aiutò era un
samaritano – abitante della Samaria –. Questo particolare ha una grandissima
importanza per riflettere su un amore che si apre a tutti. I samaritani abitavano
una regione che era stata contaminata da riti pagani, e per i giudei ciò li rendeva
impuri, detestabili, pericolosi. Difatti, un antico testo ebraico che menziona
nazioni degne di disprezzo si riferisce a Samaria affermando per di più che «non
è neppure un popolo» (Sir 50,25), e aggiunge che è «il popolo stolto che abita a
Sichem» (v. 26). Questo spiega perché una donna samaritana, quando Gesù le chiese da bere, rispose enfaticamente: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?» (Gv 4,9). Quelli che cercavano accuse che potessero screditare Gesù, la cosa più offensiva che trovarono fu di dirgli «indemoniato» e «samaritano» (Gv 8,48).
Pertanto, questo incontro misericordioso tra un samaritano e un giudeo è una potente provocazione, che smentisce ogni manipolazione ideologica, affinché allarghiamo la nostra cerchia, dando alla nostra capacità di amare una dimensione universale, in grado di superare tutti i pregiudizi, tutte le barriere storiche o culturali, tutti gli interessi meschini.
Preghiera di intercessione
Signore, insegnaci che cos’è la solidarietà.
Ricordaci che tutti siamo responsabili di tutti,
che farsi vicini alla gente, significa sentire il respiro della gente,
parlare con il suo linguaggio, ascoltarla,
entrare nella sua mentalità,
entrare nel suo mondo attraverso i suoi interessi.
Ripetici che c’è ancora posto per le opere di misericordia.
Fasciare le ferite è un’opera di misericordia.
Aiutare il fratello significa anche
sapergli prestare le cure del pronto soccorso
e tamponargli l’emorragia, quando rischia di morire dissanguato.
Amen.