Era una sera quieta di aprile. Don Bosco, passeggiando con alcuni ragazzi, raccontò un sogno: « Ho veduto – disse con accento sommesso – un ragazzo dell’Oratorio steso per terra in mezzo al camerone di una caserma; attorno a lui stavano dei coltelli spuntati, delle pistole, delle carabine e delle membra umane fatte a pezzi. Sembrava agonizzante. Gli domandai: “Come va che ti trovi in uno stato così miserabile?”. “Non lo vede – mi rispose – dagli strumenti che mi stanno attorno? Sono diventato un assassino e tra poche ore sarò condannato a morte”. I giovani ascoltatori di Don Bosco allibirono a quelle parole. Don Bosco aggiunse: « Io conosco quel ragazzo; starò attento a correggerlo dei suoi difetti e a infondergli sentimenti di pietà e di mitezza; ma ha un’indole così violenta che temo faccia una cattiva fine ».
Don Bosco azzeccò la previsione. Quel ragazzo, diventato adulto, si arruolò nell’esercito; si comportò male e venne fucilato per aver ucciso il proprio ufficiale. Per fortuna morì da buon cristiano: prima della fucilazione chiese di confessarsi e di comunicarsi.
Don Bosco aveva l’occhio lungo: sapeva prevedere, calcolava dove andavano a finire certi primi accenni di malizia nell’animo degli adolescenti; indovinava come sarebbero cresciuti certi germogli. In una parola: capiva i ragazzi.
Ecco ciò che si richiede ai genitori e agli educatori: saper osservare i ragazzi, saperli comprendere, saper prevedere il loro orientamento. L’adolescenza è un risveglio, uno slancio, uno sforzo di liberazione. La sola cosa che il ragazzo sopporta è quella di una guida amorevole che lo aiuti senza urtare.
Ci sono alcuni atteggiamenti da parte dei genitori e degli educatori che vanno assolutamente evitati.
Il primo consiste nel fingere che i difetti, i vizi e i vizietti del loro figliuolo siano cose passeggere, bazzecole. « La crisi – essi dicono – si riassorbirà. E’ un brutto momento ma passerà ». Cioè, i genitori fanno uno sforzo per capire, ma non cercano affatto di agire. E’ un atteggiamento negativo, poco utile e poco intelligente, perché il ragazzo non può formarsi senza l’aiuto e il consiglio dei suoi genitori.
Il secondo atteggiamento è peggiore. Consiste nell’intervenire brutalmente e fuori tempo, con grida di collera, invettive, scenate. Pretendere di modificare e di dirigere con la forza l’evoluzione del ragazzo (che ha la tendenza a restare autonomo e segreto) significa mancare di esperienza. L’adolescente si difende chiudendosi in una zona di finzione e di sotterfugi.
Il vero atteggiamento è quello di comprendere il ragazzo, tutto il ragazzo. In fondo, comprendere il ragazzo significa soltanto riflettere su ciò che siamo stati noi stessi. Occorre frenare la collera, il dispetto, il cattivo umore. Il vostro ragazzo vi disobbedisce ostentatamente? Punitelo, ma con calma e misura. La serenità vi permette di proporzionare meglio la sanzione alla colpa.
Ma non basta. Sono molti i genitori che amano profondamente i loro ragazzi, ma che poi non riescono a comprenderli. Non si tratta di scusarli, ma di saper cercare in ogni azione, anche colpevole, l’elemento sano e magari ottimo che essa può contenere. L’adolescente è per definizione un essere alla ricerca del suo equilibrio e più di qualsiasi altro essere è soggetto a errori. Quante circostanze attenuanti vi sono per la maggior parte delle sue mancanze! Anche quando egli deve essere castigato e in certi casi punito severamente, va sempre studiato e considerato con benevolenza. L’adolescente in fondo desidera di essere compreso in questo modo. Se trova nei genitori una simpatia attiva gliene sarà profondamente riconoscente.
Da “Educhiamo come Don Bosco” di Carlo de Ambrogio