Dagli scritti di don J. E. Vecchi, 8° successore di don Bosco
È uno dei tanti dunque: nessuno lo pensa come l’uomo chiave, né gli chiederebbe la soluzione del problema. C’è bisogno che qualcuno, che lo conosce già, lo tiri fuor dall’anonimato, lo indichi come colui che può risolvere l’increscioso incidente di una festa che si sta guastando. A questo punto entra in scena la dolcissima figura di Maria, immagine della Chiesa e quindi di tutti noi. E che sia tale lo indica il dettaglio, non solo narrativo, ma simbolico ed allusivo, che Gesù era lì «con i suoi discepoli». Essa avverte per prima la situazione, anche prima di Gesù.
Lei, le situazioni umane le sente quasi d’istinto.
Non le ha dovute assumere: è nata e vissuta dentro la condizione umana proprio come noi. Lei non è un essere divino incarnato; è una creatura umana, nata e vissuta nelle condizioni comuni. Maria non fa critiche, neanche materne, a coloro che hanno fallito il calcolo; non fa commenti da «esperta» dei pranzi e delle feste familiari, e non indica soluzioni tecniche su come e dove nei dintorni si possa trovare una soluzione.
Essa indica e ricorre a Gesù. Alla risposta di Gesù che dimostra di non voler essere dipendente dai legami di parentela, ella gioca un’altra carta: la sua fede. «Fate quello che vi dirà». È un’indicazione per il nostro modo di agire: non da critici della triste condizione umana, non principalmente da «esperti» che dimostrano di avere una lista di soluzioni, ma da persone solidali, disposte a rivedere le nostre esperienze, assumendole e rendendosene partecipe e solidale. Gesù è nelle nostre feste e nelle nostre tristezze.
Ogni gioia o impresa umana, consegnata soltanto al suo dinamismo naturale, al calcolo e alle forze umane, è esposta all’esaurimento e sovente anche alla corruzione. In un certo momento sembra arrivare al capolinea e non riesce a dare più niente di sé: capita con l’amore.
Dagli scritti di Franz Moschner
Benché sia la più innocente delle creature, Maria diventa nella maniera più consolante il «rifugio dei peccatori ». Se non avesse sofferto, e sofferto esattamente per questo motivo, forse nessun uomo peccatore avrebbe osato innalzare il suo sguardo a lei. Lei, che come nessun’altra creatura ha vissuto i sentimenti e le intenzioni di suo Figlio, e nel suo intimo fu perfettamente unita a lui.
Il peccatore, chiunque egli sia e per quanto grande sia la sua colpa, può rivolgersi direttamente a Dio: egli non desidera nulla più ardentemente quanto che « si converta e viva » (cfr. Ezech. 13, 28). Perché non Dio si è allontanato dal peccatore, ma il peccatore si è allontanato e quindi separato da lui: il volto di Dio è e resta rivolto a lui, in attesa del momento nel quale l’amore che è andato a ricercarlo, trovi il povero cuore ed operi la riconciliazione. Però al peccatore le
cose appaiono diversamente. Gli sembra che Dio sia adirato, lo rigetti, non voglia aver più a che fare con lui. Avviene – un antichissimo paragone – come con uno malato, che voglia vedere una luce viva: non vede nulla, sente solo un dolore pungente, e si volta il più rapidamente possibile. Non è affatto un difetto della Luce, ma dell’occhio, e del suo stato patologico. La stessa Luce per un occhio sano sarebbe un beneficio ed una gioia.
Il cuore dell’uomo peccatore è come l’occhio ammalato: è confuso e smarrito. Non può riflettere l’immagine di Dio, la distrugge e la spezzetta come uno specchio in frantumi o come un metallo lucido curvo e distorto. Vede come qualcosa di tremendamente minaccioso, di crudele e di terribile. E anche se l’immagine di Dio non fosse interiormente così disfatta, la luce divina pioverebbe nell’anima così inesorabilmente pura, e la illuminerebbe interiormente in modo tale, che non la sopporterebbe e non troverebbe il coraggio di innalzare lo sguardo in cerca del volto del Padre.
Il peccatore abbisogna di una luce « più dolce », che possa essere vista anche dal suo occhio ammalato e smarrito:
e questa luce viene dalla madre. Per i peccatori – e chi non lo è? – è questa senza dubbio la via. Di fronte a Maria non si spaventano; lei è la madre; è potente nella sua intercessione, non ha potere di castigare: ama senza contemporaneamente giudicare. Per questo il figlio peccatore, che desidera tornare a casa, ma sente ancora dell’ansia di fronte al Padre, osa fare il primo passo ai piedi della madre: presso di lei acquista la prima certezza, e nelle sue mani può fare anche il secondo passo ed i seguenti, fino a quando si trova in piena luce e comprende che il
Padre non ha mai fatto altro che amarlo e, amandolo, chiamarlo attraverso Maria.
Dagli scritti di Padre Raniero Cantalamessa
Maria non è figura e modello della Chiesa alla maniera dei modelli o delle modelle umane che stanno immobili davanti, per farsi ritrarre, e anzi tanto più sanno stare immobili tanto più sono ritenute brave. Maria è modello attivo che ci aiuta a imitarla. Come la guida alpina, superato un difficile passo, aspetta che quelli che la seguono lo superino a loro volta e, se vede che non ne sono capaci, torna indietro a prenderli per mano e aiutarli, così fa Maria con noi. Ella ci aiuta soprattutto in questo «passo » decisivo che consiste nell’uscire dall’amore di sé per entrare
nell’amore di Dio. Ci insegna la grande arte di amare Dio.
Noi siamo invitati dalla Bibbia ad amare Dio con due amori diversi, anche se provenienti dallo stesso Spirito: con amore filiale e con amore sponsale. L’amore filiale è un amore fatto di obbedienza e che si esprime in obbedienza. Consiste nell’osservare i comandamenti di Dio, come Gesù amava il Padre suo e perciò osservava i suoi comandamenti (cf Gv 15, 10). Vorresti amare Dio e non sai come fare? Non sei capace di sentire alcun trasporto o affetto per lui? E semplice: mettiti a osservare i suoi comandamenti e in particolare quello che in questo momento ti viene dato attraverso la sua Parola, e sappi con certezza che lo stai amando!
L’amore sponsale è un amore di scelta. Non si sceglie il proprio padre, ma si sceglie invece lo sposo o la sposa. Amare Dio di amore sponsale significa
scegliere Dio, risceglierlo consapevolmente, ogni volta, come il proprio Dio, il proprio tutto,
rinunciando, se necessario, anche a se stessi per possederlo. “ Amare infatti Dio significa spogliarsi per Dio di tutto ciò che non è Dio “.
Dagli scritti del Servo di Dio don Giuseppe Quadrio
Da soli non ce la facciamo. Siamo tanto generosi nei propositi, ma quanto fragili, quanto deboli! La nostra vita è una catena di confessioni e di peccati, peccati e confessioni. Perché? Non ve lo siete mai chiesto il perché? Perché pretendiamo di far da soli, siamo soli: questa è la nostra rovina. Abbiamo bisogno di un alleato nella lotta, di un aiuto, e questo aiuto è Maria, l’aiuto dei cristiani, la celeste guerriera che ha vinto e sgominato il nostro nemico. Se ci affidassimo a lei,
se pregassimo tutti i giorni, se nel momento della tentazione la invocassimo con fiducia, se ci aggrappassimo al suo potentissimo braccio, non proveremmo l’onta amara e umiliante della sconfitta.
Maria è mamma, è guida, è ausiliatrice nella lotta: stringiamoci a lei. Una donna inerme ed invincibile, armata di tutta la potenza di Dio, veglia a difesa della chiesa:
è Maria, l’alleata, l’ausiliatrice del popolo cristiano.
Maria Ausiliatrice ha sempre lottato a difesa della Chiesa e ha sempre vinto:
ogni potenza avversa si frantumò ai suoi piedi e i rottami furono definitivamente spazzati via dal vento. Non temiamo, fratelli. A custodia della Chiesa vigila la Madonna. Niente può capitarci di male.
Dagli scritti di don J.E.Vecchi, 8° successore di don Bosco
La comunità con Maria si dispone a ricevere lo Spirito e di fatto lo riceve. Diventa così feconda e capace di generare Gesù nel popolo. Maria aveva l’esperienza dello Spirito e della sua fecondità perché era stata la prima ad essere riempita da esso e a dare alla luce il Figlio di Dio nella storia umana. Ella è garanzia e salvaguardia per riconoscere e interpretare autenticamente l’azione dello Spirito nell’umanità. [...] Il senso femminile di Maria non consentirà che le verità della fede diventino formulazioni astratte, ma le tradurrà in gesti concreti di salvezza, di trasformazione delle condizioni di vita, di amore di Dio, di riforma dei costumi. Così pure lei, senza status particolare, ricorda agli apostoli che
il privilegio di ricevere lo Spirito non è per collocarsi sopra agli altri o fuori della comune condizione, ma per mescolarsi, condividere, lievitare, servire.
Don Bosco ci ha insegnato a sentire questa presenza. L’ha avvertita prima lui stesso e l’ha confessata nella sua vita e opera. Ma l’ha data anche come ricordo ai missionari: “Fate conoscere Maria e vedrete dei miracoli”. È la consegna anche per noi, nel nostro cammino spirituale, nel nostro impegno pastorale, nel nostro compito di animazione comunitaria.
Dagli scritti di don Giuseppe Pollano
Ora tu dimmi: come collocheremo quest’ideale di beatitudine nella nostra società che «si diverte»? Perché è inutile negarlo: la nostra avventura nella ricerca della felicità finisce presto, appena sulle rive del vero desiderio. E la grande parola del nostro «tempo libero», svagarsi, che a volte diventa impegnativa al punto da suonare ricrearsi, non ci ha regalato alcun paradiso.
Sembra dunque estranea a noi, sulle prime, la beatitudine della umile vergine glorificata, e invece è proprio il suo passo leggero che attendiamo di sentir arrivare fino alla nostra porta.
Non oseremo confessarlo, forse; ma l’attesa rimane:
noi abbiamo bisogno di diventare beati come Dio ci sa rendere,
e perciò continuiamo a contemplare la giovane santissima regina d’ogni evangelo come la creatura riuscita, la più riuscita di tutte.
Nasce di qui la revisione delle nostre idee sulla speranza della beatitudine. Essere o non essere come Maria? Proclamarla, sì o no, felice? Decidere, sì o no, che vogliamo essere persone così, Chiesa così, gloria di Dio così?
Si tratta infatti di diventare pure noi lodi di gloria. E che ne dici tu, d’una proposta come questa calata nel caos dei nostri passa tempi febbricitanti? Se ami credere, sperare e amare come Cristo Gesù c’insegnò: ti troverai d’accordo e questo io ti auguro; ma se la beatitudine di Maria t’apparisse troppo «celeste», o come talvolta si dice «disincarnata», allora ravvediti. Non è coltivando te e la tua carne che sarai più incarnato, visto che la carne non giova a nulla, perché è lo Spirito che dà vita. Ma io spero che la tua vista sia limpida grazie al collirio di Dio.
Dagli scritti di Paula Hoesl
Amerò la mia croce, mio Dio, perché Voi avete amato la vostra. Cos’è l’amore se non un grande desiderio di assomigliare? Quando siete venuto sulla terra avevate la possibilità della scelta e non avete scelto né la ricchezza, né il successo né la felicità.
Le mani che hanno sofferto sono le più dolci per curare. Gli occhi che hanno pianto sanno vedere più chiaramente. I cuori che hanno distrutto in se stessi la felicità e l’egoismo possono aprirsi meglio agli altri. Ma non basta soffrire, bisogna soffrire bene. Perché erano in due ai lati di Gesù sulla cima del Golgota. Il buono ed il cattivo ladrone, e le loro sofferenze erano uguali.
Ma l’uno osservava Gesù e capiva, e le parole di rivolta, le bestemmie, le mormorazioni si sono fermate sulle sue labbra. Egli ha capito che se l’innocenza soffriva, il peccatore doveva accettare la sua sofferenza. Ha guardato Gesù ed ha imitato la sua dolcezza, la sua accettazione, il suo abbandono.
Egli ci ama. Senza sosta ci stringe tra le braccia del suo amore.
Quale gioia amare e sentirsi amati in questo modo. Santa Maria, Madre di Dio, aiutami a capire che la mia croce, se la stringo con amore al cuore, un giorno fiorirà tra le mie braccia come un cespuglio di rose.
Dal discorso di Papa Francesco ai giovani in piazza Vittorio
a Torino, giugno 2015
Così Chiara, risponderò a quella tua domanda: “Spesso ci sentiamo delusi proprio nell’amore. In che cosa consiste la grandezza dell’amore di Gesù? Come possiamo sperimentare il suo amore?”. E adesso, io so che voi siete buoni e mi permetterete di parlare con sincerità. Io non vorrei fare il moralista ma vorrei dire una parola che non piace, una parola impopolare. Anche il Papa alcune volte deve rischiare sulle cose per dire la verità. L’amore è nelle opere, nel comunicare, ma
l’amore è molto rispettoso delle persone, non usa le persone e cioè l’amore è casto.
E a voi giovani in questo mondo, in questo mondo edonista, in questo mondo dove soltanto ha pubblicità il piacere, passarsela bene, fare la bella vita, io vi dico: siate casti, siate casti. Tutti noi nella vita siamo passati per momenti in cui questa virtù è molto difficile, ma è proprio la via di un amore genuino, di un amore che sa dare la vita, che non cerca di usare l’altro per il proprio piacere. E’ un amore che considera sacra la vita dell’altra persona: io ti rispetto, io non voglio usarti, io non voglio usarti. Non è facile. Tutti sappiamo le difficoltà per superare questa
concezione “facilista” ed edonista dell’amore. Perdonatemi se dico una cosa che voi non vi aspettavate, ma vi chiedo: fate lo sforzo di vivere l’amore castamente.
E’ possibile ora usufruire del sacramento della confessione, pur con alcune limitazioni:
- la confessione si svolgerà in cappellina feriale (ingresso in v.le dei Salesiani, 7)
- l’attesa sarà nel cortile esterno, con la pazienza necessaria
- si dovrà essere muniti di mascherina
- si osserveranno i seguenti orari (importante: la mattina dei giorni feriali sarà necessario prendere appuntamento per esigenze logistiche.
Grazie a tutti della collaborazione!
Dagli scritti di Paula Hoesl
O Madre, noi non sappiamo con precisione quando hai chiuso per l’ultima volta quegli occhi che avevano tanto pianto nei giorni della Passione. I tuoi ultimi anni sono stati lunghi o brevi? Non possiamo che immaginarli nella casa di S. Giovanni in cui ti eri ritirata per obbedire all’ultimo desiderio di Gesù dall’alto della Croce: « Figlio, ecco tua Madre! ». Come dice il Vangelo nella sua concisione: «Da allora, il discepolo la tenne in casa sua ». Il nostro cuore ti cerca dunque nella casa di Giovanni, nella pace serena di quei giorni in cui sei divenuta Madre della Chiesa nascente. Casa di silenzio, casa di preghiera, ma anche casa di ristoro per i
discepoli e gli apostoli tra una missione e l’altra. Possiamo immaginare quegli uomini rozzi, a cui il Cristo ha affidata la straordinaria missione di conquistare il mondo, venire, tra un viaggio e l’altro, a sedersi ai piedi di Maria per ascoltare i suoi insegnamenti.
Per loro Maria era il modello della vita interiore, della preghiera, della pietà.
Con quale fervore dovevano interrogarla sull’infanzia di Gesù, su tutti i preziosi ricordi che ella conservava nella sua memoria e nel suo cuore. E Luca si faceva ripetere, per le generazioni future, nella sua semplicità commovente, la scena dell’Annunciazione. Casa piena di silenzio é, nello stesso tempo, di movimento. Casa in cui preghiera e azione si alternavano. Gli Apostoli e i discepoli partivano e ritornavano, portando notizie sbalorditive!
I miracoli di Pietro e di Giovanni. La conversione di Paolo. Il martirio di Stefano. Ma quando era sola, come allora nella sua cameretta a Nazareth prima che l’Angelo le apparisse, ella interrompeva talvolta la sua occupazione e, a occhi chiusi, meditava. Non più la fanciulla dalla fronte senza rughe, ma la donna matura, consumata dalla sofferenza e dall’amore. E nel silenzio di una preghiera che possiamo bene immaginare, « ripassa va tutte quelle cose nel suo cuore ».