Agli audaci che riescono ad andare oltre. E’ a loro che Frate Alfonso Longobardi detto Tartufone dedica il suo libro edito dalla San Paolo “Gesù mangiava a scrocco – Le cose migliori le ha fatte stando a tavola”.
Il titolo di questo libro susciterà l’indignazione di molti, l’ilarità di alcuni, la curiosità di tutti. Gli eventi narrati in queste pagine non sono nulla di nuovo, anzi. Nuovo, piuttosto, è il modo di raccontarli, di evidenziarne e coglierne i particolari. [...] Con gentilezza, ironia e discrezione.
Quando si prende in mano questo libro si resta un po’ perplessi, ammutoliti, non si capisce bene quale potrebbe essere il contenuto. Ma quando si apre il libro e si comincia a leggere, beh, allora le cose cambiano. Si comprende subito che l’argomento, il centro di tutta l’opera è l’Amore.
Alfonso è un frate dell’Ordine dei Minimi, originario di Sant’Antonio Abate (Na), ora a Roma, al convento di Sant’Andrea delle Fratte. Il frate scrittore ripercorre e commenta i tanti episodi evangelici che hanno come scenario proprio la tavola. “Sono stufo di vedermi presentare in ‘pretesco’, in un linguaggio troppo teologico, un Cristo che somiglia tanto – spiega fra Alfonso – a una figurina da attaccare sul parabrezza di una macchina ma che ha poco a che fare con l’umanità. C’è chi prende questo titolo con simpatia – ci dice subito il frate (pardon, Alfonso) – c’è chi invece si scandalizza, poiché pur essendo simpatico si rivela anche provocatorio. A me piace usare un “linguaggio terra terra, il pretese non mi piace, sono un tipo che nella predicazione usa termini semplici, mi piace essere diretto e senza giri di parole, e questo libro ha questo obiettivo: un linguaggio parlato, molto slang napoletano” . “La cosa bella è che la San Paolo ha mantenuto il titolo, la nota dell’autore, lo ha soltanto ammorbidito un po’ per qualche parola.
E allora, scherzando, ma non troppo, nel libro si ripercorrono le storie narrate dal Vangelo: le nozze di Cana, oppure la parabola in cui il Regno di Dio è presentato come un banchetto di matrimonio. Si parla degli apostoli che “si imbucavano” perché se Gesù mangiava “a scrocco” perché invitato, loro invece approfittavano dell’amicizia con il Maestro. C’è poi l’episodio della cena a casa di Matteo, l’esattore delle tasse ovvero uno che “lavorava presso l’Equitalia di allora”. E poi tutti gli episodi a partire dalla Pasqua quando Cristo, risorto, per farsi riconoscere dai suoi fa gesti familiari, come lo spezzare il pane con i discepoli di Emmaus, o il chiedere da mangiare quando appare agli apostoli chiusi per paura nel Cenacolo.
Citando infine Papa Francesco (“Gesù nasce come Pane per noi”, dall’omelia della messa di Natale del 2016), frate Alfonso conclude: “Tutte le volte che ha scroccato del cibo è stata la scusa buona per mettersi allo stesso livello dell’umanità, per farsi prossimo, in modo da offrire a tutti in abbondanza il suo cibo per la vita eterna”.
Questo libro parla di concetti teologici, di dogmi della fede cristiana, con un linguaggio semplice e diretto, comprensibile a tutti. Dio si è fatto talmente vicino che si è messo a mangiare con noi e da quello che sembra essere uno scroccone poi alla fine diventa un cibo che si mangia, che si dona, ha fatto il più grande invito a scroccare che c’è stato nella storia. Quel ‘prendete e mangiatene tutti’ è qualcosa di gratuito che avviene ogni giorno: partecipare a Messa alla fine è un invito a scroccare, per beneficiare della sua eredità”.
“La nostra fede non sta nel parlare di un Gesù storico ma di un Gesù vivente, se è vivo io ti porto la mia esperienza. Qualsiasi linguaggio si usi, l’importante è che ognuno possa manifestare la propria esperienza col Cristo risorto”. “La bellezza della fede è che crescendo cambi l’idea che hai di Dio, e Cristo te la fa cambiare”.
“Lo stare a tavola – spiega Alfonso – annulla le barriere difensive, gia il fatto che dici passami l’acqua passami il pane, ti mette allo stesso livello, gomito a gomito, pure che sei l’ospite. A tavola esce il meglio della nostra umanità (o il peggio), li dimostri quello che sei.
Il libro è rivolto certamente ai giovani anche se credo che vada bene per tutti. È finito anche nelle mani del Papa: ha chiesto cosa significasse scrocco…”
Quindi, per saperne di più…vi aspettiamo numerosissimi mercoledì 10 ottobre alle 20.30 in Basilica con Fra’ Alfonso. Passate parola!
Dopo il primo articolo in cui abbiamo iniziato ad analizzare una categoria di canti che abbiamo chiamato “gli intoccabili”, proseguiamo con i rimanenti quattro: Kyrie, Alleluia, Padre nostro, Agnello di Dio. Ricordiamo che li abbiamo chiamati “gli intoccabili” perchè in osservanza al principio per cui nella S. Messa la musica è “testo che si fa musica”, parte integrante e non corollario o peggio colonna sonora, questi brani sono scritti, esattamente così come sono, direttamente nel Messale, a loro volta derivati dalla tradizione della Chiesa o dalle Sacre Scritture. Non vanno modificati o alterati o integrati, perché sono essi stessi già completi così come sono. Cambiarne il testo nel trasformarlo in canto priva l’assemblea di un tesoro inestimabile.
Kyrie
Dopo l’atto penitenziale, si recita (o si canta) il Kyrie Eleison (oppure Signore, pietà). Il Messale suggerisce tre schemi diversi, ma dopo tutti gli schemi la formula prevede una chiamata e una risposta, e quindi va fatto (cantato) almeno due volte per ogni formula: chiama il solista (o il coro), e risponde tutta l’assemblea. La risposta può essere anche più di due volte.
Non va sostituito con un canto penitenziale o altro: il Messale indica questa formula semplice, breve, concisa, per acclamare il Signore e chiedere la sua misericordia.
Nel caso si usi la formula con i tropi, il kyrie diventa parte dell’atto penitenziale: in questo caso, la risposta è univoca, ma diventa fondamentale il sincronismo del canto: tropio-risposta.
ALLELUIA
E’ una parola che deriva dall’ebraico: HALLELU-YAH, significa “Lodate YAH(wè)”, “Lodate Dio”. S. Agostino la spiega:
“Per questo fratelli, vi esortiamo a lodare Dio; ed è questo che noi tutti diciamo a noi stessi quando proclamiamo: alleluia!”. “Lodate il Signore”, tu dici a un altro; e l’altro replica a te la stessa cosa”.
Per questo motivo, è previsto sia fatta due volte prima del versetto alleluiatico e una volta dopo. Nel caso della processione con il lezionario, si ripete dopo la lettura del Vangelo.
Questo è uno dei tipici canti in cui c’è un pò di confusione: un canto che contiene la parola “alleluia” di per sè non va bene qui. Deve contenere solo quella.
“Alleluia lodate il Signore”, “Allelluia la nostra Pasqua”, etc, non sono dei canti alleluiatici e non vanno usati qui. Attenzione anche nel caso abbia delle “strofe”: va usato il versetto alleluiatico del giorno; sarà compito di chi suona/canta costruire o adattare una melodia al testo suggerito. Se il brano contiene anche il versetto non adatto, va cambiato.
PADRE NOSTRO
Il Padre nostro è l’unica preghiera che ci ha lasciato Gesù: quindi, perchè cambiarla, parafrasarla, sostituirla? Perchè usare per essa melodie già viste in altri contesti? E’ unica, insostituibile: tale deve essere anche la sua musica. Non va cambiato di una virgola il testo nè usate musiche di altri brani adattati. Se non si ha a disposizione una buona melodia, meglio recitarlo.
AGNELLO DI DIO
Questo canto accompagna la “frazione del pane”: mentre noi cantiamo questa litania (tale è la sua forma musicale), il sacerdote spezza il corpo di Cristo (l’ostia è già consacrata), dato per noi e la nostra salvezza.
Vale come per il Kyrie: chiamata-risposta, scelta della musica adatta, nessun cambio di canto nè di testo. Men che meno, può essere “sostituito” in qualche modo nel canto di pace (che abbiamo già detto non esiste nella liturgia eucaristica): sarebbe un controsenso mentre il corpo di Cristo è dato per noi. Non va iniziato finchè il sacerdote sta dando la pace ai suoi vicini.
Dal Concilio Vaticano II in poi, è diventata di uso comune l’espressione “partecipazione attiva” dei fedeli alla celebrazione liturgica. Questa frase, di fatto usata nella stragrande maggioranza dei casi con il significato di “l’assemblea deve cantare” e quindi per giustificare una scelta dei canti spesso discutibile, in realtà esprime un concetto estremamente più denso e soprattutto meno banale, senso che i liturgisti, a cinquant’anni dal concilio, hanno ormai ben compreso e soprattutto chiarito.
Per inquadrare il problema, ricordiamo che la liturgia è “culmine e fonte” di ogni azione di grazia (lo ricordava sempre Don Bosco ai suoi ragazzi: senza Cristo “non possiamo fare nulla”); ma poiché il nostro Dio è un Dio incarnato in Cristo, e che fa della comunione tra i fedeli la sua caratteristica principale, ecco che la frattura che di fatto si era creata tra sacerdoti e laici già nel 1700 durante lo svolgersi del rito, aveva creato non pochi malumori all’interno della Chiesa, chiedendo con forza che venisse affrontato il problema. Fu Pio XII prima del Concilio che scrisse una prima volta sulla “partecipazione dei fedeli”, ma la sua è una partecipazione diversa da quella poi sviluppatasi dalla Sacrosanctum Concilium.
Nei suoi scritti, si evince una partecipazione più intimistica, più di “contatto dell’anima con il senso della celebrazione”. Di fatto, si esclude ogni eventuale equiparazione tra chierici e laici: «il fatto che i fedeli prendono parte al Sacrificio Eucaristico non significa tuttavia che essi godano di poteri sacerdotali». Il concetto di partecipazione dei fedeli è legato non al rito, ma allo stato d’animo; tutti devono poter «riprodurre in sé, per quanto è in potere dell’uomo, lo stesso stato d’animo che aveva il Divin Redentore quando faceva il Sacrificio di sé: l’umile sottomissione dello spirito, cioè, l’adorazione, l’onore, la lode e il ringraziamento alla somma Maestà di Dio; […] l’abnegazione di sé secondo i precetti del Vangelo, il volontario e spontaneo esercizio della penitenza, il dolore e l’espiazione dei propri peccati»
Coloro che non riuscivano a entrare pienamente nel rito o per ignoranza o per incomprensione della profondità dei riti, potevano partecipare in altra maniera, per esempio meditando i misteri del Rosario o tramite altre preghiere, da cui sono nate tante forme rituali che ancora oggi faticano a essere messe da parte quando si celebra l’Eucarestia.
I Padri conciliari, qualche decennio dopo, invece coniarono l’espressione “actuosa participatio” per esprimere ciò che ciascun battezzato, in forza del sacerdozio comune, deve poter vivere nella celebrazione. E scrissero così:
«È ardente desiderio della madre Chiesa che tutti i fedeli vengano formati a quella piena, consapevole e attiva partecipazione alle celebrazioni liturgiche, che è richiesta dalla natura stessa della liturgia e alla quale il popolo cristiano, “stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo acquistato” (1Pt 2,9; cfr 2,4-5), ha diritto e dovere in forza del battesimo» (SC 14). I Padri, inoltre, raccomandarono di preferire «una celebrazione comunitaria caratterizzata dalla presenza e dalla partecipazione attiva dei fedeli […] alla celebrazione individuale e quasi privata» (SC 27) e, nelle istruzioni offerte per la riforma dei libri e dei riti, al fine di promuovere tale partecipazione attiva esortano a curare «le acclamazioni dei fedeli, le risposte, il canto dei salmi, le antifone, i canti, nonché le azioni e i gesti e l’atteggiamento del corpo. […] anche, a tempo debito, un sacro silenzio» (SC 30).
Di fatto, si sana quella spaccatura che portava i fedeli ad assistere passivamente alla liturgia, e si arriva a far si che tutti i fedeli, «comprendendolo bene nei suoi riti e nelle sue preghiere, partecipino all’azione sacra consapevolmente, piamente e attivamente; siano formati dalla parola di Dio; si nutrano alla mensa del corpo del Signore; rendano grazie a Dio; offrendo la vittima senza macchia, non soltanto per le mani del sacerdote, ma insieme con lui, imparino ad offrire se stessi, e di giorno in giorno, per la mediazione di Cristo, siano perfezionati nell’unità con Dio e tra di loro, di modo che Dio sia finalmente tutto in tutti» (SC 48).
La celebrazione ridiventa un corpo unico, diversificato solo dalla ministerialità. La liturgia riformata pone al centro del suo celebrare l’assemblea: un’assemblea tutta ministeriale, presieduta da un ministro ordinato, e servita da diaconi, accoliti, lettori, cantori. Un’assemblea che veda fiorire al suo interno vocazioni e ministeri e che, nell’azione liturgica, lasci trasparire la ritrovata immagine di Chiesa-Corpo di Cristo dove, secondo l’Apostolo, tutte le membra, ben compaginate, ciascuna secondo le proprie peculiarità, partecipano al buon funzionamento dell’intero corpo. Non limitata quindi al solo canto, bensì a ogni momento della celebrazione. Ogni attore, parte attiva, ha un suo ruolo, anche solo fosse quello delle risposte assembleari: ma tale ruolo è consapevole e soprattutto in comunione con gli altri.
Viene da sé un’annotazione: è stato “abbassato” il livello sacerdotale o è stato “innalzato” il livello dell’assemblea? La risposta, negli scritti, è semplice: la seconda opzione. E qui le nostre assemblee, purtroppo, cadono miseramente, spesso non per colpa loro. Al contrario di quello che si evidenziava all’inizio, non è più un “tutti fanno tutto”, in nome di una certa buona volontà e un certo livellamento. Non è un gioco al ribasso, ma anzi è un’esplosione di servizio.
Un lettore non è più una persona casuale, ma una persona formata, capace di proclamare la Parola alla comunità allo stesso modo in cui il sacerdote proclama il Vangelo; un cantore o un coro non sono più persone di buona volontà che cantavano sotto la doccia o in qualche teatro lirico, ma formate alla conoscenza di ciò che stanno vivendo e come tali “lodano Dio e santificano i fedeli”; un ministrante non è più un bambino da far star buono, ma un gruppo stabile che serve attivamente; l’assemblea non è più una massa di persone sconosciute, ma cristiani che si ritrovano in comunità, e quindi pregano insieme, arrivano insieme, vanno via insieme, si alzano insieme, cantano insieme le parti a loro assegnate e sono in comunione nelle altre; e così via.
La “partecipazione attiva” è frutto di una formazione costante di tutta l’assemblea celebrante, e richiede una responsabilità molto più grande che in passato; non ci si può più nascondere nell’anonimato. In questo senso, si nota subito una divisione tra chi partecipa attivamente alla vita parrocchiale, e chi viene solo a messa, magari distratto, in ritardo e senza coinvolgimenti. Quanta bellezza si perde!
La Liturgia Eucaristica è per tutti, e tutti sono chiamati, ognuno nel suo ruolo, a entrarne e a partecipare nel suo senso profondo e nei miracoli che essa produce. E’ il culmine e la fonte della vita di ogni cristiano. Riscopriamo il nostro ruolo. La strada, quella di chiedere e dare a ogni fedele maggior consapevolezza del suo ruolo in funzione del battesimo ricevuto, è tracciata, ormai: indietro non si tornerà.
Finalmente il programma completo del mese di Maggio, in cui gli appuntamenti principali sono due: la festa liturgica di Maria Ausiliatrice il 24 maggio, e la festa parrocchiale il 20, con le iniziative che partono già dal giovedì precedente (triduo, concerto del coro Giovani&Universitari Don Bosco, la processione per le vie del quartiere).
Vi aspettiamo per ricordarci che, come disse Don Bosco: “tutto quello che ho fatto l’ha fatto tutto lei!”.
C: Nel pieno dell’esperienza pasquale, Le tante Emmaus e Gerusalemme della storia, i luoghi della speranza e della delusione del vivere quotidiano, si caricano di luci nuove. Insieme ai discepoli anche noi vogliamo percorrere questo tragitto nella coscienza di ciò che viviamo, di ciò che ci spinge a non credere fino in fondo, a ridurre Dio alle nostre misure e ai nostri orizzonti. Gerusalemme Emmaus è il tragitto appesantito dalla delusione, dallo scoraggiamento, dall’aver visto fallire progetti personali , dalla tristezza per le risposte non ricevute da Dio, ma è anche il tragitto rapido percorso senza indugio e senza paura. E’ la strada abbreviata dalla Passione, dall’esperienza di un incontro diretto e personale, dal-l’aver spezzato con Lui il Pane, dall’aver ascoltato con Lui la Parola, dall’aver condiviso con Lui Tutto.
C …“Resta con noi Signore perché si fa sera…
T … e il giorno è ormai al tramonto”
ESPOSIZIONE EUCARISTICA CANTO
C: Nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo. Amen
L: “Gesù entrò per rimanere con loro”
T: “… Spezzò il pane e lo diede loro”
L: “Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero”
T: “Ma egli sparì dalla loro vista”
C: E rimase con loro nella Sua nuova presenza. Ed oggi ancora, in questo Pane,“è entrato in mezzo a noi per rimanere con noi”.
CANTO
IN SILENZIO ADORANTE: Contempliamo Gesù Maestro, verità del Padre
G: Entriamo con i discepoli, in cammino verso Emmaus, nel vivo di un’esperienza diretta e personale con Gesù Maestro. Chiediamo di essere da lui accompagnati dentro la Parola per comprenderla, per lasciarci da essa toccare… Lasciamo che anche il nostro cuore possa vibrare e che i nostri occhi possano realmente riconoscerlo presente.
DAL VANGELO SECONDO LUCA (24.13-35)
Ed ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Emmaus, distante circa quindici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in per¬sona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. Ed Egli disse loro: “Che cosa sono questi di¬scorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?. Si fermarono , col volto triste; uno di loro, di nome Cleopa, gli rispose:”Solo tu sei forestiero in Gerusalemme! Non sai ciò che vi è ac¬caduto in questi giorni?” Domandò loro: “che cosa?.” Gli risposero: “ciò che riguarda Gesù il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocefisso. Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; Con tutto ciò sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute; Ma alcune donne delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto”. Disse loro: “Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non biso¬gnava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua Gloria?”. E cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le scritture ciò che si riferiva a lui. Quando fu¬rono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: “Resta con noi, perchè si fa sera e il giorno è ormai al tramonto”. Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista: Ed essi dissero l’un l’altro: “Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le scritture?”. Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusa¬lemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che rano con loro, i quali dicevano: “Dav¬vero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!”. Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane”.
RIFLESSIONE: In silenzio – con la Parola nel cuore “Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre Gesù ci parlava?”
CANTO DI LODE
Rispondiamo alla parola: Ripetiamo: Riempi il nostro cuore, Signore della tua presenza
L. Camminiamo Signore! E il nostro andare spesso si carica di illusioni…attese…credevamo… speravamo… ne eravamo certi .. ma poi le situazioni non ci hanno dato ragione, il dolore, la morte, i sogni non realizzati hanno infranto tutto e quel rapporto che credevamo di aver costruito con te si è totalmente lacerato, Come procedere? Cosa cercare? (Ripetiamo)
L. Cerco sostegni Signore, e a volte dimentico che sulla mia strada ci sei tu! I bisogni umani, le certezze, la voglia di non sentirmi solo rallentano però il mio andare, impediscono ai miei occhi di scoprirti viandante con me, di scorgere i segni, non casuali, della tua presenza. (Ripetiamo)
Tutti: Resta con noi,Signore Gesù quando il sole declina verso l’orizzonte. Resta nelle nostre notti e accompagnaci lungo i giorni assolati. Spezza con noi il pane, rendici capaci di ac¬cogliere quei momenti particolari della nostra vita , in cui tu chiedi a noi di lasciarci spezzare con te, amare con te. Solo così ogni notte , ogni crepuscolo diventerà possibilità sempre nuova di annuncio, ma ancor prima, tempo per riscoprirti presenza amante che tutto av¬volge e nulla trascura. Amen
Riflettendo personalmente…
- Gesù pur invisibile, è sempre presente nelle nostre giornate! Cosa impedisce ai nostri occhi di riconoscerlo?
- Il mio “andare cristiano” da quale atteggiamento é maggiormente caratterizzato: spe¬ranza, illusione, gioia, amarezza, entusiasmo? Gli altri cosa percepiscono del mio rap¬porto con Dio?
- “Non ci ardeva il cuore mentre lui….”Provo a ricordare un momento particolare in cui il mio rapporto con il Signore è stato particolarmente intenso.
Spazio di silenzio, riflessione e confronto con la Parola (invito a condividere)
T: Ti adoro e ti ringrazio. O Maestro Divino, che sei la via, la verità e la vita. Ti riconosco come la via su cui voglio camminare; la verità che voglio credere; la vita che devo partecipare. Tu sei il mio tutto e io voglio essere tutto in te: mente, volontà e cuore.
CANTO
PREGHIAMO
Siamo in partenza Signore, verso Gerusalemme: Quante volte abbiamo vissuto la notte, quante volte la notte ci ha vissuto, e noi abbiamo continuato ad andare , sempre , in cammino verso Emmaus. A volte un po’ stanchi di giornate piene, di progetti e di corse utili e generose. In cammino verso Emmaus, veloci senza perdere tempo scattanti e creativi, precisi e puntuali.
In cammino verso Emmaus , con chitarre e progetti, sogni e traguardi, speranze di tutti i tipi! Quante Emmaus!,…..
Ma ora Signore, donaci tante Gerusalemme, facci sentire il sapore nuovo di un ritorno diverso: aiutaci a sentirci sempre figli amati, chiamati e mandati a comunicare il tuo amore. Trasformaci sempre di più in testimoni coraggiosi. Facci sperimentare la tua presenza. Rendici veri e credibili, capaci di vivere da protagonisti questa storia amandola, guardandola e toccandola come faresti tu. Rendici, ogni giorno,in ogni scelta, sempre più capaci di incontrarti, di scoprirti accanto, sulla via che porta a Emmaus e di sentire il tuo amore che ci spinge, verso nuove Gerusalemme da raggiungere per comunicare con te, Amore che da la vita. Amen
AL TERMINE SI CANTA
Adoriamo in Sacramento
che Dio Padre ci donò.
Nuovo patto, nuovo rito
nella fede si compì.
Al mistero è fondamento
la parola di Gesù.
Gloria al Padre onnipotente,
gloria al Figlio Redentore,
lode grande, sommo onore
all’eterna Carità.
Gloria immensa, eterno amore
alla santa Trinità. Amen
Hai dato loro il pane disceso dal cielo: Che porta in sé ogni dolcezza.
PREGHIAMO: Signore Gesù Cristo, che nel mirabile sacramento dell’Eucaristia ci hai lasciato il memoriale della tua Pasqua, fa che adoriamo con viva fede il santo mistero del tuo Corpo e del tuo Sangue, per sentire sempre in noi i benefici della redenzione. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen
PREGHIERA DI LODE
Dio sia benedetto.
Benedetto lo Spirito Santo Paraclito.
Benedetto il suo santo Nome.
Benedetta la gran Madre di Dio, Maria santissima.
Benedetto Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo.
Benedetta la sua santa ed immacolata Concezione.
Benedetto il Nome di Gesù.
Benedetta la sua gloriosa Assunzione.
Benedetto il suo sacratissimo Cuore.
Benedetto il Nome di Maria,Vergine e Madre.
Benedetto il suo preziosissimo Sangue.
Benedetto san Giuseppe, suo castissimo Sposo.
Benedetto Gesù nel santissimo Sacramento dell’altare.
Benedetto Iddio nei suoi Angeli e nei suoi Santi
CANTO FINALE
Uno degli attributi dati a Cristo è quello del “pellicano”, impiegato anche nell’inno dell’Adoro te devote che si cantava durante l’esposizione del SS. Sacramento nelle cerimonie di “Adorazione”. Questo inno, attribuito a S. Tommaso D’Aquino, nella penultima strofa recita:
O Pio Pellicano, Signore Gesù
Purifica me, immondo col tuo sangue
Del quale una sola goccia può salvare
il mondo intero da ogni peccato.
Dante lo cita in riferimento all’episodio dell’Ultima Cena quando Giovanni reclinò il capo sul petto del Signore:
Questi è colui che giacque sopra ‘l petto
del nostro Pellicano e questi fue
di sulla croce al grande officio eletto
(NB chi poggiò il capo sul petto di Gesù è l’apostolo GIovanni; il Pellicano è Gesù; Egli mentre era inchiodato sulla croce consegnò Giovanni a Maria che divenne madre di tutti i credenti).
L’origine di questo simbolo è legato ad una antica leggenda che voleva questo grosso uccello acquatico nutrire i suoi pulcini con la propria carne e il proprio sangue. Facile allora l’attribuzione a Cristo dal cui fianco, colpito dalla lancia del soldato romano, uscì sangue e acqua, simboli dei sacramenti della Chiesa.
Il pellicano dunque nutre i suoi figli con il proprio corpo, Gesù nutri i suoi figli con il proprio corpo fatto pane il proprio sangue fatto vino: lo fa senza trionfalismi, nascosto in un tabernacolo, la struttura per lo più a forma id casetta (dal latino “taberna” cioè dimora), una casetta minuta e povera dove il re dell’universo attende di nutrire di sè l’umanità.
Per questa ragione l’iconografia cristiana ne ha fatto l’allegoria del supremo sacrificio di Cristo, salito sulla croce. Dal suo cuore trafitto partono i raggi del suo amore, fonte di vita per gli uomini.
Il Pellicano è lì a ricordare proprio questa straordinaria storia di salvezza. Ecco perchè molte chiese e ancor più moltissimi tabernacoli hanno, disegnato o inciso, il ritratto del Pellicano, diventato il simbolo di compassione e di misericordia.
Nell’altare della Reposizione il Gesù resta nascosto nell’urna funeraria come pane. Ci assicura che egli è morto ma in realtà è cibo per l’anima, nutrimento per il passato, il presente e il futuro, pur rimanendo piccolo e invisibile.
Eccoci entrati nella Settimana Santa, la settimana più importante per noi cristiani, quella che da il senso e il fulcro a tutta la nostra fede.
Le celebrazioni si svolgeranno in Basilica, e saranno:
Giovedì 29 marzo:
- ore 8: Mattutino e Lodi
- ore 18.30: S. Messa in Coena Domini
- a seguire fino alle 24: adorazione eucaristica personale all’Altare della Reposizione. Possibilità di confessarsi.
- ore 20: cena Getzemanica presso il circolo Don Bosco
Venerdì 30 marzo:
- ore 8: Mattutino e Lodi
- tutto il giorno: adorazione personale all’Altare della Reposizione
- ore 18.30: celebrazione della Passione e Morte del Signore
Sabato 31 marzo:
- ore 8: Mattutino e Lodi
- tutto il giorno: adorazione personale all’Altare della Reposizione
- ore 22.30: veglia pasquale nella notte santa
Invitiamo tutti a partecipare a tutto il triduo Pasquale, per vivere fino in fondo questo evento di salvezza.
Sabato 11 febbraio 2018 alle ore 10,30 in Cripta, vivremo insieme la GIORNATA DEL MALATO S. Messa con la celebrazione del sacramento della UNZIONE DEGLI INFERMI. Poi festa insieme per vivere un momento di gioia e condivisione.
Riportiamo qui il messaggio del Santo Padre Francesco in occasione di questa giornata di pensiero particolare ai nostri fratelli ammalati.
MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
PER LA XXVI GIORNATA MONDIALE DEL MALATO 2018
Mater Ecclesiae: «”Ecco tuo figlio … Ecco tua madre”. E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé …» (Gv 19, 26-27)
Cari fratelli e sorelle,
il servizio della Chiesa ai malati e a coloro che se ne prendono cura deve continuare con sempre rinnovato vigore, in fedeltà al mandato del Signore (cfr Lc 9,2-6; Mt 10,1-8; Mc 6,7-13) e seguendo l’esempio molto eloquente del suo Fondatore e Maestro.
Quest’anno il tema della Giornata del malato ci è dato dalle parole che Gesù, innalzato sulla croce, rivolge a sua madre Maria e a Giovanni: «“Ecco tuo figlio … Ecco tua madre”. E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé» (Gv 19,26-27).
1. Queste parole del Signore illuminano profondamente il mistero della Croce. Essa non rappresenta una tragedia senza speranza, ma il luogo in cui Gesù mostra la sua gloria, e lascia le sue estreme volontà d’amore, che diventano regole costitutive della comunità cristiana e della vita di ogni discepolo.
Innanzitutto, le parole di Gesù danno origine alla vocazione materna di Maria nei confronti di tutta l’umanità. Lei sarà in particolare la madre dei discepoli del suo Figlio e si prenderà cura di loro e del loro cammino. E noi sappiamo che la cura materna di un figlio o una figlia comprende sia gli aspetti materiali sia quelli spirituali della sua educazione.
Il dolore indicibile della croce trafigge l’anima di Maria (cfr Lc 2,35), ma non la paralizza. Al contrario, come Madre del Signore inizia per lei un nuovo cammino di donazione. Sulla croce Gesù si preoccupa della Chiesa e dell’umanità intera, e Maria è chiamata a condividere questa stessa preoccupazione. Gli Atti degli Apostoli, descrivendo la grande effusione dello Spirito Santo a Pentecoste, ci mostrano che Maria ha iniziato a svolgere il suo compito nella prima comunità della Chiesa. Un compito che non ha mai fine.
2. Il discepolo Giovanni, l’amato, raffigura la Chiesa, popolo messianico. Egli deve riconoscere Maria come propria madre. E in questo riconoscimento è chiamato ad accoglierla, a contemplare in lei il modello del discepolato e anche la vocazione materna che Gesù le ha affidato, con le preoccupazioni e i progetti che ciò comporta: la Madre che ama e genera figli capaci di amare secondo il comando di Gesù. Perciò la vocazione materna di Maria, la vocazione di cura per i suoi figli, passa a Giovanni e a tutta la Chiesa. La comunità tutta dei discepoli è coinvolta nella vocazione materna di Maria.
3. Giovanni, come discepolo che ha condiviso tutto con Gesù, sa che il Maestro vuole condurre tutti gli uomini all’incontro con il Padre. Egli può testimoniare che Gesù ha incontrato molte persone malate nello spirito, perché piene di orgoglio (cfr Gv 8,31-39) e malate nel corpo (cfr Gv 5,6). A tutti Egli ha donato misericordia e perdono, e ai malati anche guarigione fisica, segno della vita abbondante del Regno, dove ogni lacrima viene asciugata. Come Maria, i discepoli sono chiamati a prendersi cura gli uni degli altri, ma non solo. Essi sanno che il cuore di Gesù è aperto a tutti, senza esclusioni. A tutti dev’essere annunciato il Vangelo del Regno, e a tutti coloro che sono nel bisogno deve indirizzarsi la carità dei cristiani, semplicemente perché sono persone, figli di Dio.
4. Questa vocazione materna della Chiesa verso le persone bisognose e i malati si è concretizzata, nella sua storia bimillenaria, in una ricchissima serie di iniziative a favore dei malati. Tale storia di dedizione non va dimenticata. Essa continua ancora oggi, in tutto il mondo. Nei Paesi dove esistono sistemi di sanità pubblica sufficienti, il lavoro delle congregazioni cattoliche, delle diocesi e dei loro ospedali, oltre a fornire cure mediche di qualità, cerca di mettere la persona umana al centro del processo terapeutico e svolge ricerca scientifica nel rispetto della vita e dei valori morali cristiani. Nei Paesi dove i sistemi sanitari sono insufficienti o inesistenti, la Chiesa lavora per offrire alla gente quanto più è possibile per la cura della salute, per eliminare la mortalità infantile e debellare alcune malattie a larga diffusione. Ovunque essa cerca di curare, anche quando non è in grado di guarire. L’immagine della Chiesa come “ospedale da campo”, accogliente per tutti quanti sono feriti dalla vita, è una realtà molto concreta, perché in alcune parti del mondo sono solo gli ospedali dei missionari e delle diocesi a fornire le cure necessarie alla popolazione.
5. La memoria della lunga storia di servizio agli ammalati è motivo di gioia per la comunità cristiana e in particolare per coloro che svolgono tale servizio nel presente. Ma bisogna guardare al passato soprattutto per lasciarsene arricchire. Da esso dobbiamo imparare: la generosità fino al sacrificio totale di molti fondatori di istituti a servizio degli infermi; la creatività, suggerita dalla carità, di molte iniziative intraprese nel corso dei secoli; l’impegno nella ricerca scientifica, per offrire ai malati cure innovative e affidabili. Questa eredità del passato aiuta a progettare bene il futuro. Ad esempio, a preservare gli ospedali cattolici dal rischio dell’aziendalismo, che in tutto il mondo cerca di far entrare la cura della salute nell’ambito del mercato, finendo per scartare i poveri. L’intelligenza organizzativa e la carità esigono piuttosto che la persona del malato venga rispettata nella sua dignità e mantenuta sempre al centro del processo di cura. Questi orientamenti devono essere propri anche dei cristiani che operano nelle strutture pubbliche e che con il loro servizio sono chiamati a dare buona testimonianza del Vangelo.
6. Gesù ha lasciato in dono alla Chiesa la sua potenza guaritrice:
«Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: [...] imporranno le mani ai malati e questi guariranno» (Mc 16,17-18). Negli Atti degli Apostoli leggiamo la descrizione delle guarigioni operate da Pietro (cfr At 3,4-8) e da Paolo (cfr At 14,8-11). Al dono di Gesù corrisponde il compito della Chiesa, la quale sa che deve portare sui malati lo stesso sguardo ricco di tenerezza e compassione del suo Signore. La pastorale della salute resta e resterà sempre un compito necessario ed essenziale, da vivere con rinnovato slancio a partire dalle comunità parrocchiali fino ai più eccellenti centri di cura. Non possiamo qui dimenticare la tenerezza e la perseveranza con cui molte famiglie seguono i propri figli, genitori e parenti, malati cronici o gravemente disabili. Le cure che sono prestate in famiglia sono una testimonianza straordinaria di amore per la persona umana e vanno sostenute con adeguato riconoscimento e con politiche adeguate. Pertanto, medici e infermieri, sacerdoti, consacrati e volontari, familiari e tutti coloro che si impegnano nella cura dei malati, partecipano a questa missione ecclesiale. E’ una responsabilità condivisa che arricchisce il valore del servizio quotidiano di ciascuno.
7. A Maria, Madre della tenerezza, vogliamo affidare tutti i malati nel corpo e nello spirito, perché li sostenga nella speranza. A lei chiediamo pure di aiutarci ad essere accoglienti verso i fratelli infermi. La Chiesa sa di avere bisogno di una grazia speciale per poter essere all’altezza del suo servizio evangelico di cura per i malati. Perciò la preghiera alla Madre del Signore ci veda tutti uniti in una insistente supplica, perché ogni membro della Chiesa viva con amore la vocazione al servizio della vita e della salute. La Vergine Maria interceda per questa XXVI Giornata Mondiale del Malato; aiuti le persone ammalate a vivere la propria sofferenza in comunione con il Signore Gesù, e sostenga coloro che di essi si prendono cura. A tutti, malati, operatori sanitari e volontari, imparto di cuore la Benedizione Apostolica.
Dal Vaticano, 26 novembre 2017
Solennità di N.S. Gesù Cristo Re dell’universo
Francesco
Cade il 2 febbraio, esattamente 40 giorni dopo il Natale: è la festa liturgica della “Presentazione di Gesù al al Tempio”, narrata nel vangelo di Luca (2,22-40), e popolarmente detta “candelora” perché in questo giorno si benedicono le candele, simbolo di Cristo luce del mondo, come viene chiamato il Bambino Gesù dal vecchio profeta Simeone: «I miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele». Con queste stesse parole si chiude la compieta di ogni giorno.
Anticamente, questa festa era 40 giorni dopo l’Epifania, e per un periodo fu dedicata alla “purificazione della SS. Vergine Maria”, secondo l’usanza ebraica, per la quale 40 giorni dopo il parto la donna si recherà al tempio ad offrire il bambino e a compiere il rito della purificazione. La riforma liturgica del 1960 ha restituito alla festa il titolo di “presentazione di Gesù al tempio”, che aveva in origine.
Alle 18:30 ci sarà la S. Messa con la distribuzione delle candele e la processione.
Di seguito il programma degli appuntamenti della festa parrocchiale di quest’anno. Ricordiamo che la “festa liturgica” di Don Bosco cade domenica 28 gennaio, mentre la memoria del Santo, il 31 gennaio, tutte le S. Messe saranno in Basilica.
In particolare, quella della sera sarà alle 18.30 (e non al consueto orario delle 18) e sarà concelebrata da tutti i sacerdoti, durante la quale i Cooperatori Salesiani, ramo laico della famiglia salesiana, rinnoveranno le promesse di appartenenza.
13 GENNAIO Caritas diocesana: incontro sul “Gioco d’azzardo” h. 19,00 Auditorium
14 GENNAIO 50° di sacerdozio don Franco Marsoner e don Luigi Ullucci h. 11,00
15 GENNAIO EDUCACINEMA: “L’ESODO” h. 20,30 – Presentano il Regista e la protagonista
16 GENNAIO Corso Biblico: “IL VANGELO DI MARCO”, h.20,30
18/21 GENNAIO Settimana mondiale per l’unità dei cristiani – Incontro formativo CUS.
20/21 GENNAIO “Famiglie con e per i giovani” – Genzano h. 9,00. Animatori FMA/SDB a Animatori FMA/SDB a confronto
21 GENNAIO Premiazione “Gara Presepi” alla Messa delle h. 11,00; – Benedizione degli animali sul sagrato della basilica h 16,00 – Festival clown h. 11,00 e 15,30
22/30 GENNAIO NOVENA DON BOSCO h. 18,00;
22 GENNAIO Studenti Doc Fest – Cortometraggi a tema immigrazione h. 15,00
23 GENNAIO Corso Biblico: “IL VANGELO DI MARCO”, h.20,30
24 GENNAIO “S. FRANCESCO DI SALES” patrono dei giornalisti. Proposta per i giovani delle superiori del territorio
26/28 GENNAIO TRIDUO DON BOSCO h. 18,00;
26 GENNAIO Incontro sulla STRENNA 2018: “L’arte di ascoltare e accompagnare” h. 19/20,30 con cena comunitaria.
27 GENNAIO EDUCACINEMA: “Il figlio sospeso” h. 18,00 – Mattino: giochi sportivi oratorio – Concerto di Melissa Ciaramella, cantautrice h. 20,30
28 GENNAIO FESTA ESTERNA DI DON BOSCO – S. Messa h. 11,00 – Mattino: giochi salesiani oratorio – EDUCACINEMA: “Il figlio sospeso” h. 18,00
29 GENNAIO EDUCACINEMA: “Quando sei nato non puoi più nasconderti” h.20,45
30 GENNAIO Corso Biblico: “IL VANGELO DI MARCO”, h.20,30
31 GENNAIO FESTA LITURGICA DI DON BOSCO – S. Messa Scuola FMA h 9,30 – Concerto della “Banda Polizia di Stato” h. 10,00 – Messa h. 18,30