L’ASSEMBLEA
Entrando in una Chiesa durante la celebrazione della Messa, ciò che si nota immediatamente è un gruppo di persone riunite. Di “riunione” si parla nel NT (es.”il primo giorno della settimana si erano riuniti per spezzare il pane”: Ai 20,7), e nei primi tempi della Chiesa (es.: “riuniti nel giorno del Signore spezzate il pane e rendere grazie”: Didaché 1° secolo), “nel giorno detto nel sole ….ci riuniamo (anno 150), “nessuno si mostri pigro ad andare alla riunione della comunità”: Tradizione Apostolica – anno 220 a Roma).
Questo gruppo di fedeli è l’”assemblea liturgica“ che, in greco, si dice “ekklesia”, da cui l’italiano “chiesa”, termine che indica la comunità sia universale che locale, e l’edifìcio in cui si riunisce. L’assemblea è la protagonista, il soggetto della Messa. In essa si rende efficace il mistero della Chiesa, come comunità dello Spirito Santo, in cui è presente Cristo che ha promesso: “Dove due o più sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro”. L’assemblea non partecipa alla Messa ma la “celebra” sotto la presidenza del sacerdote. E’ la comunità cristiana che si riunisce, ascolta e celebra la parola di Dio, prega, ringrazia, offre il memoriale della morte di Cristo, mangia e beve il suo Corpo e il suo Sangue. Ogni giorno, in tutto il mondo, quando gruppi di fedeli, per quanto piccoli, partecipano alla Messa è, in qualche modo, presente tutta la chiesa. Per il sacramento che viene celebrato, lo stare uniti insieme, il clima di festa, l’accostarsi in gruppo all’Eucaristia, la comunità cristiana è segno della realtà futura, della Gerusalemme celeste.
L’assemblea non è un circolo di perfetti e di intimi, ma una riunione di santi e di peccatori, di tutti coloro che hanno ricevuto il Battesimo. Ma per essere un’assemblea testimoniante, non basta che essa sia un gruppo di persone che sta insieme nello stesso luogo, canta, eleva preghiere, si scambia un gesto di pace, ma essa deve tendere ad essere sacramento della presenza di Cristo, assemblea di persone che professa la fede e che cerca di viverla.
E’ anche importante che l’assemblea appaia come vera comunità e non sia un gruppo anonimo, i cui componenti s’incontrano come estranei. Per esempio, sarebbe opportuno all’inizio “mettersi in situazione”, essendo presenti qualche minuto prima, evitando la brutta abitudine di arrivare a messa iniziata, accogliendosi vicendevolmente, preparando la celebrazione; celebrando come persone che si conoscono e vivono in pace; salutandosi prima di tornare a casa, ecc..
IL PRESIDENTE
Nell’ambito dell’Assemblea che celebra ci sono i ministri. Uno di questi è il Sacerdote chiamato a presiedere, non solo per una necessità organizzativa.
Il vero Sacerdote celebrante è Gesù Cristo. Egli agisce sia nella proclamazione della Parola che nella celebrazione del Memoriale della sua morte. L’azione salvifica di Cristo è resa visibile dal Presidente, Vescovo o Sacerdote, che ha ricevuto nel sacramento dell’Ordine una speciale configurazione a lui. Il Sacerdote è il sacramento della presenza di Cristo in mezzo alla Comunità. In lui Cristo è presente in modo speciale, in lui è Cristo che parla, benedice e attualizza il Memoriale della Pasqua del Signore. Egli è lo strumento di cui si serve Cristo per raggiungere, con la sua grazia, la comunità. Il sacerdote unisce e guida la comunità nella celebrazione, è il segno visibile della comunione ecclesiale; si rivolge a Dio a nome del popolo e al popolo a nome di Dio.
Alcuni atti della Messa sono propriamente presidenziali. In particolare lo sono: la preghiera eucaristica, in cui il sacerdote agisce con maggiore intensità come presidente, come segno visibile di Cristo, come capo della comunità; l’omelia, in cui egli è segno di Cristo, l’evangelizzatore per eccellenza; le varie orazioni in cui il sacerdote raccoglie le intenzioni dei fedeli e le presenta a Dio; il saluto iniziale e la benedizione finale, in cui lo stesso annunzia alla comunità la presenza di Cristo e conclude e trasmette, a nome di Cristo, i doni di Dio.
MINISTRANTI
Alcuni fedeli laici svolgono nella Santa Messa compiti attinenti alla sacra Liturgia, come leggere i brani biblici, guidare i canti, animare la Messa, preparare le ostie, tenere in ordine il presbiterio, ecc..
Nella Parrocchia San Giovanni Bosco una quindicina di laici adulti, uomini e donne, hanno l’incarico ufficiale di lettori delle letture bibliche o di ministri straordinari dell’Eucaristia, cioè di fedeli che hanno la possibilità di distribuire la Santa Eucaristia durante le Messe o di portarla agli ammalati. I laici che spesso si vedono in presbiterio vestiti con un camice bianco, sono lettori o ministri straordinari, incaricati dalla Diocesi di Roma.
POSIZIONI
Posizione eretta. E’ quella che i fedeli tengono durante buona parte della Messa. E’ la posizione del figlio davanti al Padre, perché il cristiano ha avuto nel battesimo il dono della figliolanza divina. E’ anche la posizione di chi è attento al Signore che parla ed è pronto a passare all’azione. In particolare, si ascolta in posizione eretta il Vangelo, perché è la rivelazione che ha fatto la stessa Parola di Dio incarnata.
In ginocchio. E’ un atteggiamento che indica profondo rispetto, che rivela umiltà e riconoscimento della profonda distanza tra l’uomo e Dio; è anche un atteggiamento adorante, un restare senza parola davanti ai misteri infiniti di Dio; in particolare, alcuni stanno in ginocchio durante la consacrazione.
Lo stare seduti. Indica raccoglimento, meditazione della parola di Dio e anche confidenza e familiarità con Dio, perché Gesù ha accettato di farsi nostro fratello e lo Spirito Santo è presente in noi come consigliere, guida, amico. Lo stare seduti diventa una necessità quando la celebrazione si prolunga. L’assemblea resta seduta durante le prime letture e quando il sacerdote fa l’omelia.
L’incedere. I fedeli incedono quando entrano o escono dalla Chiesa, quando vanno a ricevere la comunione e quando fanno la processione offertoriale; il Presidente quando fa i vari movimenti prescritti. L’incedere liturgico esclude la fretta ma anche il movimento stanco o sciatto. E’ sempre un andare verso Dio o un partire da Lui per portarlo al mondo.
Il salire. Non è un movimento che attualmente avviene spesso, ma c’è almeno un salire dal luogo dell’assemblea al Presbiterio. Il salire indica lasciare la vita quotidiana, distaccarsi dalla terra, liberarsi da ciò che è meschino e superfluo ed entrare nella casa di Dio, a contatto con Lui, collocarsi su un piano superiore. Un’antica usanza prevedeva tre gradini, simbolo delle tre virtù teologali, la fede, la speranza e la carità, le tre forze divine che elevano a Dio.
Nella Basilica San Giovanni Bosco c’è anche un salire dalla Piazza alla Chiesa.
GESTI DELLA MANO
Mani giunte. E’ un gesto di umiltà e di riverenza verso Dio.
Mani distese. Il sacerdote che distende le mani sull’altare intende appoggiarle a Cristo: le distende sulle offerte per invocare la venuta dello Spirito che le trasformi nel Corpo e Sangue di Cristo, e sui fedeli per invocare su di loro la potenza trasformante dello Spirito.
Mani benedicenti. Il sacerdote benedice i fedeli, chiede che la benedizione di Dio fluisca su di essi.
Darsi la mano. I fedeli si scambiano un gesto di pace, come augurio di pace e impegno di vivere in pace con tutti. Il sacerdote prende per mano per dare sicurezza e condurre al Signore.
IL SILENZIO
L’azione liturgica prevede spazi di silenzio per ascoltare, riflettere, pregare, accogliere la parola di Dio. Alcuni spazi di silenzio sono richiesti a tutti, altri all’assemblea.
Silenzio dei fedeli. Mentre il sacerdote compie atti o recita preghiere propriamente presidenziali, l’assemblea sta in silenzio per una serena partecipazione alla preghiera e alla celebrazione.
Silenzio penitenziale. E’ molto importante, ma purtroppo spesso è molto breve. Questo silenzio contempla l’esame di coscienza, che dispone ad un sincero pentimento dei peccati.
Silenzio dell’orazione. Segue l’invito che il celebrante fa prima dell’orazione iniziale: “Preghiamo”, e ha lo scopo di consentire a ciascun fedele di esprimere al Signore le intenzioni personali.
Silenzio dopo l’omelia. E’ un silenzio indispensabile soprattutto in questo nostro tempo di ascolto senza riflettere. Ed è particolarmente propizio per ascoltare lo Spirito Santo che parla all’anima illuminandola. Purtroppo è spesso trascurato.
Silenzio dopo la Comunione. Certamente non possono bastare pochi secondi per ringraziare il Signore che si è donato nella comunione, ma un breve momento di silenzio dopo la comunione è almeno il segno che tutta la vita deve essere un ringraziamento a Dio per i suoi doni.
CANTO
Le assemblee cristiane esigono il canto. Le acclamazioni come l’Alleluia (= lodate il Signore) o il Santo, le reclamano in maniera particolare. Non è necessario che ci sia in tutte le Messe; importante è che, primariamente, sia un rendere gloria a Dio e avvenga con la partecipazione del popolo, perché è in funzione della comunità. Il canto ufficiale della liturgia è il gregoriano ma è consentita ogni altra espressione che si armonizzi con il contenuto della preghiera.
ACCOGLIENZA
II fedele che viene in Chiesa entra nella casa di Dio e della comunità cristiana. Niente di più naturale che qualcuno lo accolga.
Sarebbe necessario che alcuni fedeli, abitualmente partecipanti ad ogni singola Messa, stiano alle porte della Chiesa, fino al momento in cui ha inizio la celebrazione, per salutare, dare spiegazioni, ascoltare eventuali proposte, offrire foglietti liturgici e programmi della settimana, ecc..
LA CHIESA
Dio è ovunque e non è legato ad alcun luogo. Tuttavia, si può parlare di una particolare dimora in rapporto all’azione divina o alle persone. Così Dio è presente in maniera specialissima nell’Eucaristia, in modo particolare nel battezzato, sempre quando due o più sono uniti nel nome di Gesù.
Dove si raduna la comunità dei credenti vengono celebrati i sacramenti, si prega con maggior facilità, Dio è presente e il luogo si può, a ragione, considerare sacro, “casa di Dio”, simbolo del Regno e della nuova alleanza. Anche la struttura nella Chiesa rimanda a Dio. Essa, attualmente, comprende tre parti: l’atrio per disporsi ad andare verso Dio, la navata, in cui l’assemblea è quasi in “navigazione” verso il Signore, il presbiterio, dove è situato l’altare, simbolo di Cristo.
L’ATRIO
L’atrio è il luogo dove i fedeli si dispongono ad entrare in Chiesa.
Davanti alla Basilica San Giovanni Bosco si trova una zona semicircolare, che degrada verso la Piazza, attraverso la quale si entra nel portico che è parte dell’edificio ed è aperto davanti e ai due lati con archi. In esso c’è spazio sufficiente per il passaggio dei fedeli, per esposizioni o iniziative varie, per affiggere avvisi nelle numerose bacheche.
Verso l’interno del portico si aprono cinque grandi ingressi. Sull’architrave della porta centrale è scolpito in latino il motto: “Dammi le anime, prenditi il resto”. I giganteschi battenti allineano a metà altezza i simboli dei 4 evangelisti e 4 pannelli figurativi, opera di Federico Papi, che fissano quattro momenti della vita di Don Bosco: Pio IX benedice l’opera del Santo, Leone XIII gli affida la costruzione della Basilica del Sacro Cuore di Roma, Messa di S. Giovanni Bosco nella stessa Basilica, apostolato giovanile a Roma. Le altre porte recano appropriate scritte al di sopra degli architravi ad arco. Le due estreme accolgono due poderose statue in bronzo di Attilio Selva: Cristo risorto e S. Giovanni Battista. L’ingresso mediano è alto 10 metri, mentre i 4 laterali sono tagliati a metà da un architrave, che separa i battenti metallici dalle vetrate ad arco in alto. I due mediani, poi, sono chiusi da due bussole sormontate da balconcini. Contro i parapetti sono posati due angeli, opera in bronzo di Eugenio De Courten, del quale sono pure i 4 gruppi angelici librati sui 4 confessionali addossati alla parete di fondo.
LE NAVATE
La navata è il luogo dell’assemblea. Il termine viene da “nave”. Indica un popolo peregrinante, navigante verso il cielo. Nelle chiese c’è una navata principale; alcune chiese ne hanno tre, altre anche cinque.
La Basilica San G. Bosco è una chiesa a tre navate. Quella centrale, al primo colpo d’occhio, appare un ambiente arioso ed accogliente. E’ larga 29 metri; dodici pilastri la dividono dalle due laterali che sono come due corridoi di quasi tre metri di larghezza. La copertura della Chiesa si stende come una lamina traforata da due cupole. La cupola grande apre sulla navata mediana. Sopra un grande fascione ricoperto da una splendida policromia musiva si innalzano i loggiati: quello inferiore, alto m. 10,50, è chiuso all’esterno da ampie vetrate e con i suoi pilastri si prospetta verso l’interno; quello superiore di m. 6,65, è chiuso all’interno da finestre e lascia all’esterno la fitta pilastratura circolare. Quasi tutta la superficie della Chiesa è rivestita di marmi a macchia aperta, senza cornici, zoccoli e fregi. Grande è la ricchezza dei marmi di toni vari ma sempre caldi. Predomina giallo di Siena e rosso orobico, il pavimento è del vanvitelliano Mondragone.
IL PRESBITERIO
La navata centrale e tutto l’edificio sacro convergono sul presbiterio, che ha al centro l’altare, rivolto verso il popolo, l’ambone e la sede. Con questa centralità la comunità proclama l’importanza fondamentale dell’Eucaristia. II presbiterio è lo spazio riservato ai presbiteri (anziani-sacerdoti) e ai ministri e ministranti dell’altare. Per quanto è possibile, i vari elementi del presbiterio devono essere artistici, perché la bellezza è prerogativa divina.
Nella Basilica S. Giovanni Bosco, il presbiterio si trova al centro del transetto, che si apre oltre le navate, separato dalla Chiesa da 4 pilastri ed ha, ai lati in alto, due larghe tribune, una per il grande organo con 5.000 canne della Ditta Tamburini, l’altra a destra con gradinata di banchi. Sopra il presbiterio si eleva in forma analoga alla grande cupola il tamburo della cupola minore che sopra il fascione ornato a mosaici, presenta solo un ordine di snelle vetrate a colori e insiste sul presbiterio come un elegante baldacchino.
L’attuale presbiterio, che sta al centro del transetto, non è quello originale che era delimitato da una balaustrata e, nei bracci laterali, era costituita da una sequenza di fitti pilastrini. Tre cancelletti di bronzo, di cui quello sulla navata centrale era particolarmente curato, si aprivano verso il luogo dell’assemblea. Erano opera di Luigi Venturini. Il pavimento era di pregiata macchia verde con caldi colori. L’attuale presbiterio è del 1992 ed è opera dell’architetto Costantino Ruggeri. Al fondo sono situate le sedi, al centro l’altare, a fianco l’ambone e sul gradone il battistero. Ai bordi dell’attuale presbiterio, che appare senza delimitazione, sono stati posti i pannelli di bronzo forato che erano situati nella balaustrata. Sono del Venturini e raffigurano angeli e simboli eucaristici. Al fondo sono posti quattro gruppi angelici. I due esterni, che prima erano situati ai lati della balaustra, sono di Lyda Preti; in piccole urne gli angeli ostentano due insigni reliquie, la seconda vertebra cervicale di S. G. Bosco e una rotula di S. Domenico Savio. Gli altri due gruppi di angeli sono di Francesco Messina e portano le lampade del Santissimo.
L’ALTARE
L’altare è un elemento sacro alla religiosità degli uomini di ogni religione, il suo nome proviene dal latino (alta res = cosa alta), e indica l’elevazione, la tensione verso il cielo, verso Dio. Nelle Chiese cristiane è il punto focale di tutto l’edificio ed ha la forma di una mensa che fa riferimento alla mensa dell’ultima cena dove Gesù ha anticipato, nel rito, il sacrificio della croce che è attualizzato ogni volta che si celebra la Messa. E’ concepito come simbolo di Cristo “pietra angolare” su cui sta tutto l’edificio della Chiesa; e, questo simbolo, ha una pregnanza particolare dato che Cristo è nello stesso tempo, l’altare su cui si sacrifica la vittima che viene offerta e il sacerdote che la immola. L’altare è preferibilmente di pietra e rimanda all’acqua sgorgata dalla roccia nella peregrinazione del deserto e a Dio che è sempre stato considerato la “roccia” del popolo eletto. Perché sia segno, l’altare deve essere sobrio. Si deve fare attenzione a non ridurre l’altare a supporto di oggetti che nulla hanno a che fare con la liturgia eucaristica. Anche i candelieri e i fiori devono essere sobri come numero e dimensione.
Nella Basilica S.G. Bosco l’altare è costituito da un maestoso blocco unico di marmo bianco di 10 tonnellate delle Alpi Apuane. Alla base il blocco sembra spezzarsi, per simboleggiare quanto avvenne sul Calvario e quanto sempre avviene nello spezzare del Pane. Il precedente altare maggiore viene ora a trovarsi dietro le sedi. E’ un grande blocco rosa aurora del Portogallo, nella cui parte superiore Luigi Venturini ha ricavato un motivo decorativo con foglie e cherubini. Anche i 4 candelieri minori sono del Venturini. Il palliotto è di lapislazzuli.
L’AMBONE
L’ambone (da “anabaio = salgo) era, all’inizio, uno spazio elevato e nobile che, oltre al vantaggio pratico dell’ascolto, esprimeva soprattutto la centralità della parola di Dio. E’ il luogo, la “mensa” della Parola, che sta in stretta connessione con la mensa del Pane ma non deve interferire sulla priorità dell’altare. In certe chiese antiche, si costruivano amboni monumentali con distinti ripiani per l’Antico testamento e per il Vangelo, mentre il salmo era cantato sui gradini dell’ambone e perciò era chiamato “graduale”; questa complessità la si può ancora ammirare nella chiesa di S. Clemente a Roma, che risale al V secolo. I “pulpiti”, che troviamo nella parte centrale della navata di alcune chiese, non avevano la funzione dell’ambone ma servivano per il canto e per la predicazione e, solo in qualche periodo, per le letture della Messa. Le cantorie furono costruite per le corali.
Nella Basilica S. G. Bosco l’ambone è situato alla sinistra dell’altare (alla destra per l’assemblea). E’ un grande blocco di marmo bianco che da un lato assume quasi la forma delle zolle di un campo arato, per significare che alla luce della Parola di Dio la nostra anima deve aprirsi come la terra al seme.
LA SEDE
La sede della presidenza aveva nei tempi antichi una grande importanza, specialmente quella in cui presiedeva il Vescovo. Era, in questo caso, chiamata “Cattedra”. Cattedra veniva chiamata anche l’intera comunità cristiana sotto la guida del Vescovo e la Chiesa dove la comunità si riuniva. Tale Chiesa si chiama anche oggi “cattedrale”. Nel calendario liturgico celebriamo il 22 Febbraio la festa della “Cattedra di S. Pietro”. Poi, un segno tanto importante ha finito per evolversi e perdere il suo significato originale. La riforma del Vaticano II l’ha riportata in auge. Ora, la sede, è di nuovo uno dei poli della celebrazione e richiama una delle grandi presenze di Cristo nella Messa: Specie eucaristiche, Parola, Assemblea, Presidente. La sede è il luogo liturgico che esprime il ministero di colui che guida l’Assemblea e presiede la celebrazione nella persona di Cristo, capo e pastore, e nella persona della Chiesa suo corpo. La sede della presidenza è vista anche come segno dell’ultima convocazione alla fine dei tempi per celebrare la Pasqua eterna.
Nella Basilica San Giovanni Bosco, la sede del presidente sta al centro di due ampi emicicli, che sono le sedi riservate ai ministri. Tutto è di marmo bianco delle Alpi Apuane come l’altare, l’ambone e il battistero ed è stato progettato dall’architetto Costantino Ruggeri.
BATTISTERO
II Battistero è il luogo dove viene amministrato il Battesimo. Nella Basilica San Giovanni Bosco un Battistero di concezione originale si trova nella prima cappella a sinistra. Sorge su di un piano rialzato di macchia verde, come un grosso stelo, e si apre a coppa in un unico blocco semisferico di granito di Solberga. Dal centro della superficie rotonda del granito sorge una piramide di ottone scanalato con quattro angioletti alla base e uno sulla cuspide; ai due lati, quasi a custodia, due angeli. L’opera è di Emilio Greco. Anche il bassorilievo marmoreo in alto, con scene battesimali, è del Greco.
Ma nel 1992 l’architetto Ruggero Costantini, nel progetto del nuovo presbiterio, ha previsto un secondo grande battistero circolare di marmo bianco, che ha situato al lato destro dell’altare(alla sinistra per l’Assemblea), posandolo su un vasto gradone sottostante; il battistero si staglia come una conca aperta, roccia da cui zampilla l’acqua per il battesimo. A lato è ora situato il monumentale candeliere per il cero pasquale, che rispetta la stessa struttura degli altri candelieri. E’ opera della scultrice Lyda Preti.
CUSTODIA DELL’EUCARESTIA
Nei primi secoli, dopo la consacrazione, l’Eucaristia veniva custodita nelle case private. Durante quasi tutto il primo millennio, sacerdoti e monaci erano soliti portare nei lunghi viaggi il pane eucaristico in una teca appesa al collo. Fino al quindicesimo secolo l’Eucaristia veniva conservata nella vicinanza della Chiesa, in luoghi attigui separati e sicuri, soprattutto per portare il viatico ai moribondi. La comunione a chi non aveva partecipato alla Santa Messa e l’adorazione eucaristica non erano allora scopi principali.
Verso il secolo XI ha inizio, in seguito ad eresie sorte per influenza di Berengario, l’uso di conservare l’Eucaristia al centro dell’altare, ma è dopo il Concilio di Trento, soprattutto per opera di S. Carlo Borromeo, che l’Eucaristia è depositata in tabernacoli solenni al centro dell’altare. Dal XVI al XX secolo la spiritualità cattolica è profondamente segnata dal culto eucaristico fuori della Messa. Dopo il Concilio Vaticano II lentamente si sta tornando alla tradizione più antica e si tende a conservare il Santissimo Sacramento in luogo diverso dall’altare della Messa, possibilmente in una cappella separata.
In non poche Chiese la custodia resta nell’antico tabernacolo. Così è anche nella Basilica di S. Giovanni Bosco, dove il tabernacolo, con uno splendido crocifisso d’argento, spicca sulle venature dell’ametista, dietro l’antico altare. Nella sua porta d’argento è raffigurata la resurrezione. In alto, sopra il crocifisso, è posto il tronetto con grande movimento di angeli adoranti, raggiera con angioletti a corona, e angeli portaluce. Il tutto è in bronzo e ottone con brillio d’oro. Tabernacolo, crocifisso e tronetto sono del Fazzini.
PARETE DI FONDO
Il santo cui è dedicata la Chiesa è posto in evidenza nelle chiese o con una statua o con un quadro, che ne riproduce l’effigie e, talora, anche scene della sua vita.
La nostra Basilica è dedicata a San Giovanni Bosco e tutta la parete di fondo è segnata dalla sua figura e da scene della sua vita. Questa parete si presenta come un grandioso scenario innalzato fino all’anello della cupola minore e richiama l’attenzione dei fedeli da qualsiasi punto della chiesa. E’ una superficie di 220 metri quadrati, ove il grande mosaico di Giovanni Brancaccio è messo in risalto, per contrasto, dalle due candide quinte di bassorilievi che lo fiancheggiano. Il mosaico e di mq. 100 ed è formato da 15 milioni di tesserine. Raffigura la gloria di S. G. Bosco in paramenti sacerdotali, sollevato da un gruppo di angeli e atteso in alto dalla Vergine Maria. Ai fianchi del Santo appaiono, alla sinistra di chi guarda, il Beato Michele Rua, primo successore di D.Bosco, D. Andrea Beltrami e il principe Beato Augusto Czartorisky; alla destra, San Domenico Savio con altri due giovani. Nella zona mediana sono rappresentate le missioni d’Occidente con Mons. Cagliero, poi Cardinale, e alcuni indigeni patagoni col beato Zeffirino Namuncurà, figlio di un gran cacico. Dal lato opposto, le missioni d’Oriente con i santi martiri Mons. Luigi Versiglia e D. Callisto Caravario. Una suora di Maria Ausiliatrice e la beata Laura Vicina rappresentano l’ordine femminile fondato da D. Bosco. Due larghe lesene di bassorilievi marmorei, a guisa di grandiose quinte, delimitano ai due lati il mosaico. Entrambe sono divise simmetricamente in quattro pannelli da strisce orizzontali, su cui una scritta fa da didascalia a quanto è scolpito nel pannello stesso. Sono otto bassorilievi di circa 14 metri quadrati ciascuno, opera di 4 scultori. I primi due, in basso, sono di Alessandro Monteleone: rappresentano il sogno dei nove anni e la morte del Santo. Seguono due bassorilievi di Luigi Venturini che raffigurano da un lato, Giovannino giocoliere e apostolo, e dall’altro, l’opera missionaria salesiana. Gli altri due riquadri sono di F. Nagni: presentano la prima Messa di D. Bosco e la fondazione dell’Ordine femminile. Gli ultimi due, in alto, sono di Lodovico Consorti e rappresentano la prima dimora dell’Oratorio e la fondazione della Società Salesiana.
In questo tempo così importante, fondamentale per noi cristiani, ci sono delle celebrazioni particolari che ci aiutano ad entrare profondamente a contatto con il Mistero di Cristo e specchiarci in esso.
Via crucis
Ogni venerdì in Basilica, dopo le SS. Messe delle ore 9.30 e 18
Vespri del sabato
Ogni sabato in Basilica alle 18
Come si usano gli strumenti musicali nella Quaresima? Si è abbastanza sicuri che la reazione più comune leggendo questa domanda sarà “perché, ci sono vai usi?”… Si, perché ci sono vari tempi liturgici, e partendo dall’assunto che il messaggio che la musica porta deve essere lo stesso della Liturgia di quel tempo, ecco che l’uso degli strumenti deve andare di pari passo.
Rimandando ad altro articolo il tema di quali strumenti siano adatti (e di conseguenza “ammessi”) all’uso nella Liturgia Eucaristica, il come usarli è descritto chiaramente in uno dei documenti di riferimento, la Musicam Sacram, nell’articolo 66: “Il suono, da solo, degli strumenti musicali non è consentito in Avvento, in Quaresima, durante il Triduo sacro, nelle Messe e negli Uffici dei defunti.”
Cosa si intende suono “sa solo”? Abbiamo sempre detto che lo strumento musicale serve per sostenere il canto, non per riempire in modo più o meno consono spazi vuoti. Normalmente, si ha un’introduzione al canto, che ne espone il motivo, il ritmo e la tonalità, e anche degli interludi tra le strofe o dei postludi quando si rendessero necessari fino al termine di un rito all’interno della Liturgia. Nel caso della Quaresima, essa riscopre un elemento del tempo che è essenziale per una corretta armonia: il “silenzio”.
La Quaresima è un tempo di introspezione, di confronto con il Cristo Salvatore: è un tempo, di fatto, di deserto, in cui tutto ciò che è superfluo si toglie per arrivare all’essenziale. Il silenzio fa parte di questo processo pedagogico, così come il digiuno.
La musica non avrebbe senso senza le pause, i respiri: sono i “silenzi” che completano il “suono”. Ultimamente, sembra che ogni secondo debba essere riempito sempre, ogni momento di vuoto, in ogni momento della giornata; ma questo non aiuta l’ascolto, anzi lo riduce. Nella Liturgia domenicale, il silenzio fa parte del “ritmo”, e in Quaresima questo silenzio è amplificato, e la musica deve adeguarsi a questo ritmo particolare.
Quindi, per concludere: si accompagni solamente il canto, se possibile si cambi timbro diminuendo gli strumenti che suonano (nell’organo si diminuiscano i registri) e si evitino riempimenti vari. Una leggera eccezione nella IV domenica di quaresima, la domenica detta appunto “Laetare”, in cui si ha una piccola pausa da questo silenzio (sottolineata anche dall’antifona di ingresso “rallegrati, Gerusalemme!”, da cui il termine “Laetare”), in cui il sacerdote veste i paramenti di colore rosa, al posto del viola. La “leggera eccezione” vuol significare che comunque si rimane nel tempo di Quaresima, quindi ci si regoli di conseguenza.
A cosa serve la musica nella Liturgia? Risponde direttamente e semplicemente il Concilio Vaticano II, nella SC 112: “il fine della Musica Sacra è la gloria di Dio e la santificazione dei fedeli”. Possibile? Che servisse a lodare Dio, ci è molto naturale e istintivo; ma addirittura serve alla “santificazione dei fedeli”? Addirittura. Come è possibile questo? Lo analizziamo scomponendolo per punti.
Si parla della Musica Sacra. E perché non altri tipi di musica? Perché proprio quella “sacra”? In realtà non è la musica che è etichettata come “sacra”, ma il messaggio che porta. La musica è una forma d’arte, e tra tutte le arti, è probabilmente quella più “immediata”: non si ha bisogno di “capire” o “conoscere” per esserne colpiti in qualche modo. Va direttamente al cuore, e il suo linguaggio è, come si dice, “universale”. Quando il messaggio che porta è a servizio del sacro, allora diventa Musica Sacra. E quando è a servizio della Liturgia, si parla di Musica Liturgica.
Quindi già possiamo fare un assunto: la musica che usiamo nella Liturgia non è e non può essere casuale, ma deve partire da quella particolare Liturgia, quel particolare momento in cui è inserita. Essa veicola un messaggio, esattamente come la Parola e i Segni, che deve essere coerente con quello che la Liturgia sta esprimendo in quel momento. Detto molto semplicemente: se un fedele non viene toccato dalla Parola, o non viene toccato dal Segno, si tenta di toccarlo con la Musica. Ma quel “tocco” deve essere lo stesso della Parole e del Segno, non un altro. Ed è quel “tocco” che santifica, nell’accezione più cristiana del termine.
Si badi bene: finora non si è specificato che Liturgia: perché questo concetto vale per una Liturgia della Parola, per una Liturgia Penitenziale, per un momento di preghiera. E massimamente vale per la Liturgia Eucaristica, in cui Dio si fa uomo in Cristo non per umanizzare Dio, ma per divinizzare l’uomo. E la musica, di conseguenza, deve riuscire a far presente questo.
In definitiva, ora, è facile capire cosa è la musica nella Liturgia: non è colonna sonora, non è riempimento, non è “sfogo musicale” del singolo o del gruppo. E’ Parola fatta musica. Se vi par poco….
Abbiamo attivato la sezione riguardante la musica nella Liturgia. Una cosa importantissima, un’arte che ha una dignità elevatissima all’interno della Liturgia, ed in particolare in quella Eucaristica.
Per comprenderla meglio e saperla gustare nel profondo, leggete gli articoli nella sezione. Sarà completata nel tempo.
XXII Giornata Mondiale del Malato
11 febbraio 2014
Fede e carità. “…anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli” (1Gv 3,16)
Liturgia della Parola
Canto di inizio
C. Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
R. Amen.
C. Il Dio della speranza, che ci riempie di ogni gioia e pace nella fede,
per la potenza dello Spirito Santo, sia con tutti voi.
R. E con il tuo spirito.
C. Fratelli e sorelle, quando venne la pienezza del tempo Dio mandò il suo Figlio perché anche noi diventassimo figli per mezzo del suo sangue offerto sulla croce. Sull’esempio del Cristo che donò la sua vita per noi, vogliamo chiedere al Signore il dono del Suo Spirito perché anche noi possiamo dare la vita per i nostri fratelli. Prepariamoci ad ascoltare con cuore sincero la Parola di Dio, chiedendo perdono dei nostri peccati.
Atto penitenziale
C. Signore, pietà.
R. Signore, pietà.
C. Cristo, pietà.
R. Cristo, pietà.
C. Signore, pietà.
R. Signore, pietà.
C. Preghiamo
O Dio, che nell’incarnazione del tuo Figlio hai allietato il mondo intero, concedi a noi che veneriamo Maria, causa della nostra letizia, di camminare costantemente nella via dei tuoi precetti e di tenere fissi i nostri cuori dove è la vera gioia.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.
R. Amen.
Ascoltiamo la Parola del Signore
Dalla Prima lettera di San Giovanni Apostolo (1Gv 3,16-24)
In questo abbiamo conosciuto l’amore, nel fatto che egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli. Ma se uno ha ricchezze di questo mondo e, vedendo il suo fratello in necessità, gli chiude il proprio cuore, come rimane in lui l’amore di Dio? Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità.
In questo conosceremo che siamo dalla verità e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore, qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa. Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio, e qualunque cosa chiediamo, la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quello che gli è gradito.
Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato.
Salmo responsoriale (Sal 19)
Rit. La legge del Signore è la mia gioia.
La legge del Signore è perfetta,
rinfranca l’anima;
la testimonianza del Signore è stabile,
rende saggio il semplice. R/.
I precetti del Signore sono retti,
fanno gioire il cuore;
il comando del Signore è limpido,
illumina gli occhi. R/.
Il timore del Signore è puro, rimane per sempre;
i giudizi del Signore sono fedeli, sono tutti giusti,
più preziosi dell’oro, di molto oro fino,
più dolci del miele e di un favo stillante. R/.
Per la riflessione
Dal “Messaggio” di Papa Francesco per la XXII Giornata Mondiale del Malato
Il Figlio di Dio fatto uomo non ha tolto dall’esperienza umana la malattia e la sofferenza, ma, assumendole in sé, le ha trasformate e ridimensionate. Ridimensionate, perché non hanno più l’ultima parola, che invece è la vita nuova in pienezza; trasformate, perché in unione a Cristo da negative possono diventare positive. Gesù è la via, e con il suo Spirito possiamo seguirlo. Come il Padre ha donato il Figlio per amore, e il Figlio ha donato se stesso per lo stesso amore, anche noi possiamo amare gli altri come Dio ha amato noi, dando la vita per i fratelli. La fede nel Dio buono diventa bontà, la fede nel Cristo Crocifisso diventa forza di amare fino alla fine e anche i nemici. La prova della fede autentica in Cristo è il dono di sé, il diffondersi dell’amore per il prossimo, specialmente per chi non lo merita, per chi soffre, per chi è emarginato…
In forza del Battesimo e della Confermazione siamo chiamati a conformarci a Cristo, Buon Samaritano di tutti i sofferenti. «In questo abbiamo conosciuto l’amore; nel fatto che egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (1 Gv 3,16). Quando ci accostiamo con tenerezza a coloro che sono bisognosi di cure, portiamo la speranza e il sorriso di Dio nelle contraddizioni del mondo. Quando la dedizione generosa verso gli altri diventa lo stile delle nostre azioni, facciamo spazio al Cuore di Cristo e ne siamo riscaldati, offrendo così il nostro contributo all’avvento del Regno di Dio.
Oppure
“Educati dal Vangelo alla cultura del dono”
(Dal sussidio per l’animazione della XXII Giornata Mondiale del Malato, a cura dell’UNPS – CEI)
Il tema della XXII Giornata Mondiale del Malato «Fede e carità – “…anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli”» sottolinea l’importanza di educare alla cultura del dono operatori pastorali e sanitari, persone ammalate e sofferenti, famiglie e tutta la comunità cristiana. La vita dell’uomo è un dono ricevuto che trova la sua pienezza e il suo completamento solo quando viene ridonata con generosità ai fratelli. Ma perché questo sia possibile, occorre che ci lasciamo formare dallo Spirito del Vangelo alla carità e alla misericordia, vera profezia in una società che conosce
forti accenti di egocentrismo, e che talvolta è segnata fortemente dalla cultura dell’avere, del consumare e dello sprecare…
Non possiamo negare che oggi l’esercizio del dono debba sovente incontrarsi e forse
scontrarsi con concezioni utilitaristiche, dove l’interesse diventa fattore decisivo di scelte e progetti. Ha affermato Papa Francesco: «La cultura dello scarto tende a diventare una mentalità comune, che contagia tutti. La vita umana, la persona, non sono più sentite come valore primario da rispettare e tutelare, specie se è povera o disabile, se non serve ancora – come il nascituro –, o non serve più – come l’anziano. Vorrei che prendessimo l’impegno contro la cultura dello spreco, per
una cultura della solidarietà e dell’incontro…. » (Udienza generale del 5 giugno 2013) …
Nel tempo dell’Incarnazione, la vita del Figlio di Dio è stata totale auto-donazione. Dopo aver preso il nostro corpo, la nostra carne, la nostra debolezza fino a sperimentare la tentazione, ha operato quel capovolgimento straordinario nel modo di essere il messia e di porsi come dio nel mondo. L’amore donato si rivela nel volto di un servo disposto a soffrire e che viene crocifisso. La spiegazione del dono e del donarsi trova il suo vertice nella Pasqua del Figlio di Dio, donato dal Padre perché gli uomini “abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (cfr Gv 3,16 e 10,10). È in
Gesù, Colui che rivela l’uomo all’uomo, che in modo mirabile si realizza l’unione tra dare e dono, tra libertà e gratuità, tra gesto e compimento.
Dopo l’evento della Pasqua del Signore, la cattedra della cultura del dono e della sapienza cristiana, è Cristo Crocifisso che prende su di sé il limite, il male, il peccato e offre la sua vita per tutti (dono universale), quando ancora eravamo peccatori, nella gratuità assoluta spinto dall’amore per l’uomo per il quale, “pur essendo di natura divina… spogliò se stesso assumendo la condizione di servo”(Fil 2,6-7). Ed è la sua morte redentrice a farci il dono straordinario dello Spirito per rimanere con noi e santificare la Chiesa sua sposa. Questa stessa capacità di amare viene
partecipata a noi mediante il dono dello Spirito che è, come dice l’apostolo Paolo: “L’amore di Dio effuso nei nostri cuori” (Rm 5,5).
Pausa di riflessione e/o breve omelia
Preghiera dei fedeli
C. Fratelli carissimi, riuniti nel nome di Cristo, eleviamo con la fiducia di figli la nostra preghiera a Dio Padre, ricco di grazia e di misericordia.
Rit. Ascolta o Signore la preghiera dei tuoi figli.
Per la Chiesa. Animata dallo Spirito di carità sia porto sicuro per quanti cercano la verità e la via che conduce a Dio. Preghiamo.
Per gli ammalati e per quanti soffrono nel corpo e nello spirito. La presenza del Signore che ha preso su di sé le nostre sofferenze e ha portato i nostri dolori sia per tutti motivo di consolazione e speranza. Preghiamo.
Per gli operatori sanitari e pastorali e per quanti sono dediti alla cura dei fratelli ammalati. Lo Spirito Santo riempia il loro cuore dell’amore di Dio e la loro vita cresca sempre più nel dono generoso di sé verso i fratelli più bisognosi. Preghiamo.
Per noi qui presenti. Educati dal Vangelo alla cultura del dono, possiamo andare con coraggio nelle periferie esistenziali ad annunciare l’amore misericordioso di Dio. Preghiamo.
Preghiera per la XXII Giornata Mondiale del Malato
Ti rendiamo grazie e ti benediciamo
Padre santo e misericordioso,
perché hai tanto amato il mondo
da dare a noi il Tuo Figlio.
A te Signore della vita,
che doni forza ai deboli
e speranza a quanti sono nella prova,
ci rivolgiamo fiduciosi.
Manda il tuo Santo Spirito
perché spinti dalla carità di Cristo
che sulla croce ha dato la sua vita per noi
anche noi doniamo la vita per i fratelli.
Giunga a tutti o Padre, la Parola che risana
guarisci i malati, consola gli afflitti,
e con Maria, salute degli infermi,
fa che giungiamo alla gioia senza fine. Amen.
Padre nostro.
C. Preghiamo
Concedi ai tuoi fedeli, Signore Dio nostro,
di godere sempre la salute del corpo e dello spirito
e per la gloriosa intercessione di Maria santissima, sempre vergine,
salvaci dai mali che ora ci rattristano e guidaci alla gioia senza fine.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.
R. Amen.
Benedizione (se presiede un ministro ordinato)
Canto mariano
L’11 febbraio, festa della Madonna di Lourdes, si celebra la XXII Giornata Mondiale del Malato. In Cripta, raggiungibile con l’ascensore, alle 10.30 ci sarà la Celebrazione del Sacramento dell’Unzione degli Infermi.
MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO PER LA XXII GIORNATA MONDIALE DEL MALATO 2014
Fede e carità: «Anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (1 Gv 3,16)
Cari fratelli e sorelle,
1. In occasione della XXII Giornata Mondiale del Malato, che quest’anno ha come tema Fede e carità: «Anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (1 Gv 3,16), mi rivolgo in modo particolare alle persone ammalate e a tutti coloro che prestano loro assistenza e cura. La Chiesa riconosce in voi, cari ammalati, una speciale presenza di Cristo sofferente. E’ così: accanto, anzi, dentro la nostra sofferenza c’è quella di Gesù, che ne porta insieme a noi il peso e ne rivela il senso. Quando il Figlio di Dio è salito sulla croce ha distrutto la solitudine della sofferenza e ne ha illuminato l’oscurità. Siamo posti in tal modo dinanzi al mistero dell’amore di Dio per noi, che ci infonde speranza e coraggio: speranza, perché nel disegno d’amore di Dio anche la notte del dolore si apre alla luce pasquale; e coraggio, per affrontare ogni avversità in sua compagnia, uniti a Lui.
2. Il Figlio di Dio fatto uomo non ha tolto dall’esperienza umana la malattia e la sofferenza, ma, assumendole in sé, le ha trasformate e ridimensionate. Ridimensionate, perché non hanno più l’ultima parola, che invece è la vita nuova in pienezza; trasformate, perché in unione a Cristo da negative possono diventare positive. Gesù è la via, e con il suo Spirito possiamo seguirlo. Come il Padre ha donato il Figlio per amore, e il Figlio ha donato se stesso per lo stesso amore, anche noi possiamo amare gli altri come Dio ha amato noi, dando la vita per i fratelli. La fede nel Dio buono diventa bontà, la fede nel Cristo Crocifisso diventa forza di amare fino alla fine e anche i nemici. La prova della fede autentica in Cristo è il dono di sé, il diffondersi dell’amore per il prossimo, specialmente per chi non lo merita, per chi soffre, per chi è emarginato.
3. In forza del Battesimo e della Confermazione siamo chiamati a conformarci a Cristo, Buon Samaritano di tutti i sofferenti. «In questo abbiamo conosciuto l’amore; nel fatto che egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (1 Gv 3,16). Quando ci accostiamo con tenerezza a coloro che sono bisognosi di cure, portiamo la speranza e il sorriso di Dio nelle contraddizioni del mondo. Quando la dedizione generosa verso gli altri diventa lo stile delle nostre azioni, facciamo spazio al Cuore di Cristo e ne siamo riscaldati, offrendo così il nostro contributo all’avvento del Regno di Dio.
4. Per crescere nella tenerezza, nella carità rispettosa e delicata, noi abbiamo un modello cristiano a cui dirigere con sicurezza lo sguardo. È la Madre di Gesù e Madre nostra, attenta alla voce di Dio e ai bisogni e difficoltà dei suoi figli. Maria, spinta dalla divina misericordia che in lei si fa carne, dimentica se stessa e si incammina in fretta dalla Galilea alla Giudea per incontrare e aiutare la cugina Elisabetta; intercede presso il suo Figlio alle nozze di Cana, quando vede che viene a mancare il vino della festa; porta nel suo cuore, lungo il pellegrinaggio della vita, le parole del vecchio Simeone che le preannunciano una spada che trafiggerà la sua anima, e con fortezza rimane ai piedi della Croce di Gesù. Lei sa come si fa questa strada e per questo è la Madre di tutti i malati e i sofferenti. Possiamo ricorrere fiduciosi a lei con filiale devozione, sicuri che ci assisterà, ci sosterrà e non ci abbandonerà. È la Madre del Crocifisso Risorto: rimane accanto alle nostre croci e ci accompagna nel cammino verso la risurrezione e la vita piena.
5. San Giovanni, il discepolo che stava con Maria ai piedi della Croce, ci fa risalire alle sorgenti della fede e della carità, al cuore di Dio che «è amore» (1 Gv 4,8.16), e ci ricorda che non possiamo amare Dio se non amiamo i fratelli. Chi sta sotto la Croce con Maria, impara ad amare come Gesù. La Croce «è la certezza dell’amore fedele di Dio per noi. Un amore così grande che entra nel nostro peccato e lo perdona, entra nella nostra sofferenza e ci dona la forza per portarla, entra anche nella morte per vincerla e salvarci…La Croce di Cristo invita anche a lasciarci contagiare da questo amore, ci insegna a guardare sempre l’altro con misericordia e amore, soprattutto chi soffre, chi ha bisogno di aiuto» (Via Crucis con i giovani, Rio de Janeiro, 26 luglio 2013).
Affido questa XXII Giornata Mondiale del Malato all’intercessione di Maria, affinché aiuti le persone ammalate a vivere la propria sofferenza in comunione con Gesù Cristo, e sostenga coloro che se ne prendono cura. A tutti, malati, operatori sanitari e volontari, imparto di cuore la Benedizione Apostolica.
Dal Vaticano, 6 dicembre 2013
FRANCESCO
Dal 19 Gennaio al 2 Febbraio, tante iniziative in occasione della festa liturgica di S. Giovanni Bosco.
Le iniziative saranno sia in Basilica, che in Oratorio (ingresso p.zza dei Decemviri) che presso il CineTeatro Don Bosco (ingresso v. Publio Valerio).
Le celebrazioni solenni saranno celebrate:
- il 31 gennaio alle ore 18: presiede Mons. Giuseppe Bausardo, vescovo Salesiano già titolare di Ida in Mauritania e vicario apostolico di Alessandria d’Egitto
- il 2 febbraio alle ore 11: presiede D. Francesco Motto, storico della Famiglia Salesiana
Eccoci arrivati alla Festa della nostra Parrocchia! In realtà siamo anche fortunati, perchè, per l’importanza che riveste per i Salesiani, anche la Festa di Maria Ausiliatrice la consideriamo Festa Parrocchiale. Ma ora parliamo della festa di S. Giovanni Bosco, a cui è dedicato (caso unico a Roma) la nostra Basilica.
Le celebrazioni solenni saranno celebrate:
- il 31 gennaio alle ore 18: presiede Mons. Giuseppe Bausardo, vescovo Salesiano già titolare di Ida in Mauritania e vicario apostolico di Alessandria d’Egitto
- il 2 febbraio alle ore 11: presiede D. Francesco Motto, storico della Famiglia Salesiana
Trovate tutte le iniziative qui.