La Santa Messa è costituita da due parti, la “Liturgia della Parola” e la “Liturgia eucaristica”, così strettamente congiunte tra loro da formare un unico atto di culto. Nella Messa viene imbandita tanto la mensa della Parola di Dio, quanto la mensa del Corpo di Cristo e i fedeli ne ricevono istruzione e ristoro. Ci sono, inoltre, alcuni riti che iniziano e altri che concludono la celebrazione.
La Messa inizia con i “riti di introduzione”, che precedono la Liturgia della Parola e sono l’introito, il saluto, l’atto penitenziale, il Gloria e l’orazione, detta colletta. Scopo di questi riti è che i fedeli, riuniti insieme, formino una comunità e si dispongano ad ascoltare con fede la parola di Dio e a celebrare degnamente l’Eucaristia.
La “Liturgia della Parola” consiste nella proclamazione delle letture scelte dalla Sacra Scrittura, che ne costituiscono la parte principale, dall’omelia, dalla professione di fede e dalla preghiera dei fedeli. Nella liturgia della Parola Dio parla al suo popolo, gli manifesta il mistero della redenzione e della salvezza e offre un nutrimento spirituale. Il popolo fa propria questa Parola divina con il silenzio e i canti e vi aderisce con la professione di fede. Così nutrito, prega per le necessità di tutta la Chiesa e per la salvezza del mondo intero.
La “Liturgia Eucaristica” è disposta come l’ultima Cena del Signore, quando Gesù istituì il sacrificio e convito pasquale per mezzo del quale è reso continuamente presente nella Chiesa il sacrificio della croce. Cristo infatti prese il pane e il calice, rese grazie, spezzò il pane e lo diede ai discepoli dicendo: “Prendete, mangiate, ….bevete; questo è il mio corpo;….. questo è il mio sangue. Fate questo in memoria di me”. La liturgia eucaristica inizia con la preparazione dei doni: vengono portati all’altare pane e vino con acqua, cioè gli stessi elementi che Cristo prese tra le sue mani. Poi si rende grazie a Dio per tutta l’opera della salvezza e le offerte diventano il Corpo e il Sangue di Cristo. Segue la frazione del pane e la comunione ai fedeli che si cibano del Corpo dell’unico Signore dall’unico pane e ricevono il suo Sangue dall’unico calice, allo stesso modo con il quale gli Apostoli li hanno ricevuti dalla mani di Cristo stesso.
I “Riti di conclusione” comprendono brevi avvisi, se necessari, il saluto e la benedizione del sacerdote, il congedo del popolo, il bacio dell’altare da parte del sacerdote, l’inchino profondo da parte di tutti i ministri.
PARTI DELLA MESSA
Riti di introduzione
Ingresso Segno di croce Saluto Atto penitenziale
Gloria Orazione del giorno (Colletta)
Liturgia della Parola
Prima lettura Salmo responsoriale Seconda lettura Vangelo
Omelia Credo Preghiera dei fedeli
Liturgia eucaristica
Offertorio
Presentazione dei doni Preparazione dell’altare
Purificazione del sacerdote Invito alla preghiera
Orazione sulle offerte
Preghiera eucaristica
Prefazio Santo Epiclesi per la consacrazione
Racconto della Cena: consacrazione
Anamnesi: celebrazione della memoria
Epiclesi per la comunione Intercessioni Dossologia finale
Riti di comunione
Padre nostro Preghiera per liberazione dai mali e pace
Segno della pace Frazione del pane Agnello di Dio
Preghiera per la purificazione Invito alla comunione
Comunione
Riti di conclusione
Orazione Saluto Benedizione Congedo
Il libretto dei canti è probabilmente il più importante strumento che consente di creare “un sola voce” che canta la lode a Dio.
In Italia purtroppo troppo spesso è trascurato, mentre altrove è una delle cose basilari che si trovano in una chiesa.
Cos’è un libretto dei canti
Prima di tutto, cos’è un libretto dei canti? Contiene i canti che consentono di coprire tutti e tre gli anni liturgici (ricordiamoci che le Liturgie Eucaristiche non sono uguali tutti gli anni, ma a cicli di tre: anno A, anno B e anno C). Sarebbe impossibile da parte dell’assemblea (ma non solo) ricordare tutti i canti necessari a memoria, quindi per prima cosa, se vogliamo che l’assemblea canti o quantomeno segua, dobbiamo dargli lo strumento per farlo.
In secondo luogo, è uno “strumento di progetto”. Attraverso di esso e dei canti che ci sono inseriti, di fatto si dichiara non solo ciò che la comunità è e canta, ma anche verso dove vuole andare. Se fatto bene, se “progettato” bene, è uno strumento formidabile per creare quel senso di comunione parrocchiale, che tanto manca in molte realtà oggi, e per dire quali canti vogliamo imparare, che stile adottare, che attenzione avere, e chi più ne ha più ne metta. In una parola, “camminare” con la musica.
Progettare un libretto dei canti
Come si progetta un libretto dei canti? In realtà non è una cosa banale, e deve essere fatta da qualcuno esperto: per questo si parla di progetto. Non è una semplice raccolta di canti.
Deve contenere:
- i canti che attualmente vengono fatti
- i canti che si vogliono inserire ex novo nei prossimi 4-5 anni
- deve coprire tutte le parti della Liturgia Eucaristica, avendo quindi dei canti:
- di ingresso
- di offertorio
- di comunione
- finali
ma anche i vari temi dei tre anni liturgici, quindi:
- canti mariani
- canti penitenziali
- canti allo Spirito Santo
- canti alla Trinità
- canti al Santo Patrono
- canti battesimali
- alcuni canti specifici delle letture
Chiaramente, il tutto deve essere omogeneo: un libretto con 4 canti d’entrata e 10 canti a Maria è evidentemente progettato male (vd. Il canto d’ingresso).
Il libretto degli spartiti
Insieme, e si sottolinea insieme, al libretto dei canti, va realizzato il libretto degli spartiti.
Specifichiamo subito i termini: uno spartito è il testo con la musica, non è assolutamente il testo con gli accordi. Se cerchiamo su internet degli spartiti, inseriremo la parola “sheet” (che significa appunto spartito), e troveremo testo con musica: quello è lo spartito. Ciò che comunemente viene indicato come “spartito” nelle nostre parrocchie (si provi a fare la stessa ricerca con il termine “spartito” e il titolo di un canto), cioè il testo con gli accordi, non serve a nulla. Il motivo? Semplice: non dà alcuna indicazione sulla melodia di un brano, né tantomeno sul suo tempo. Lo spartito è ciò che ci dice come è stato scritto il brano: senza, andremo ad orecchio, spesso banalizzando sincopi, pause, note di passaggio che arricchiscono lo spartito e che invece si eliminano perché con l’abitutine si tende ad andare ad orecchio, e si impoverisce (cosa diversa dal semplificare) un canto. Spesso si elidono anche note o passaggi ritenuti troppo difficili (mentre invece con poco studio si potrebbero tranquillamente imparare). Il risultato peggiore di tutto questo, è che ognuno sa lo stesso canto a modo suo, e diventa un problema cantare insieme anche solo all’interno della stessa parrocchia, figuriamoci incontri più grandi.
Il libretto degli spartiti va fatto speculare al libretto dei canti, e deve contenere:
- spartiti il più possibile originali, contenenti almeno il rigo del canto e gli accordi
- ove non sono disponibili spartiti, è compito di chi fa il canto scriverlo: se non è possibile scriverlo, è meglio toglierlo dal libretto
- la numerazione deve essere ovviamente la stessa del libretto dei canti
- in appendice tutte le parti di cui sotto si dice escluse dall’annuncio dei canti.
Il libretto degli spartiti fatto in questo modo, permette a più persone di avvicinarsi a questo servizio e ad impararlo.
L’annuncio dei canti
Un libretto ben fatto è quasi inutile se non si annuncia il canto. Iniziare il canto senza annunciarlo, significa che l’assemblea lo deve riconoscere, cercarlo, trovarlo e solo dopo incominciare a seguirlo: probabilmente l’avremo già finito. Invece il canto va annunciato, in modo chiaro e conciso.
Non vanno assolutamente annunciate le parti fisse e gli inni: quindi niente numero del Kyrie, del Gloria, del Santo, dell’Agnello di Dio, ecc. Se annunciati, si spezza un dialogo, ed è inutile visto che le parole sono e devono essere sempre le stesse (niente variazioni sul tema per questi canti; ma per questo ci sarà un altro articolo).
Nelle chiese d’oltralpe, si trova praticamente sempre un tabellone, più o meno gradevole, con i numeri dei canti di quella celebrazione (cfr. foto a dx): sarebbe una cosa splendida imparare a farlo anche da noi, in questo modo tutti sanno quali sono i canti che si faranno quel giorno.
Quanti libretti dei canti?
A questo punto ci si può chiedere: ma è meglio fare un libretto dei canti per ogni Liturgia, magari uno per ogni periodo (Avvento, Natale, ecc), oppure uno unico e per tutta la parrocchia?
La risposta, considerando quello che abbiamo detto sopra, viene da se: uno unico, per tutta la Parrocchia e per tutti i tempi liturgici. Non necessariamente tutti devono fare gli stessi canti, ma avere sullo stesso libretto i canti di tutti, permette di sentirsi molto più “fratelli”, imparando a superare il concetto dei canti “miei”, “loro” e chi più ne ha più ne metta. Questo aiuta, nelle celebrazioni obbligatoriamente comunitarie (Triduo Pasquale, per esempio), a sentirci tutti parte della stessa comunità, invece che ognuno mantenersi il proprio ruolino personale. Papa Francesco, recentemente, ci ha ricordato che “prima viene il camminare insieme, poi vengono le particolarità di ciascuno”.
Avere tutti i canti, inoltre, aiuta a farli “girare”, e magari anche a cambiarli perché si sente un canto che piace.
Infine, avere tutti i tempi liturgici permette di poter inserire nel libretto un “prontuario” dei canti, cioè come usarli a seconda del momento e del tempo: è un modo eccellente per far capire perché si fanno determinati canti in un dato momento, e a capire sempre più quello che si sta facendo in quel momento della Liturgia. E’ chiaro infine che la progettazione del libretto dei canti parrocchiale deve coinvolgere tutti gli animatori liturgici della parrocchia.
Venerdì 25 aprile, ore 17: 30, Basilica di S. Giovanni Bosco: inizio forum del Movimento Giovanile Salesiano “A due passi dal cielo”. Domenica 27 aprile, S. Pietro: Canonizzazione di Giovanni Paolo II e Giovanni XXIII. I due estremi di questo weekend pieno di Dio.
E’ una coincidenza tutta particolare quest’anno che fonde questi due avvenimenti così importanti: per questo il tema del Forum annuale del’MGS è quest’anno la santità e lo slogan ”A due passi dal cielo”.
La giornata di venerdì 25 aprile sarà incentrata sull’accoglienza dei giovani. Alle 17.30 ci sarà un momento iniziale di catechesi sul tema del forum presso il Tempio Don Bosco: a tenere la catechesi sarà il salesiano Don Andrea Bozzolo, docente di teologia, che parlerà di “dono della santità”. Si prosegue alle 21.00 con lo spettacolo realizzato dai giovani salesiani di Nave (BS), “Affari pe’ Santi”. Dopodichè i giovani si recheranno a dormire nelle diverse case salesiane di Roma e dintorni.
Sabato ci si sposterà nell’opera salesiana del Sacro Cuore al Castro Pretorio, con il saluto da parte di Don Angel Fernadez Artime, Rettor Maggiore dei Salesiani, recentemente eletto. E’ la prima volta che Don Angel, in quanto successore di Don Bosco, incontra i giovani del MGS dell’ Italia centrale e la prima volta in assoluto che incontra i giovani del Movimento Giovanile Salesiano. Dopo questo primo momento, i giovani intraprenderanno diversi percorsi sui luoghi significativi della presenza di Don Bosco a Roma, fino a p.zza del Popolo, dove si farà memoria dell’incontro che Don Bosco ebbe col Cardinale Tosti, a cui mostrò come si potevano avvicinare i giovani romani attraverso il gioco. La Piazza sarà animata da giochi e canti in un clima festoso come “oratorio”. In serata, l’appuntamento è ancora al Sacro Cuore a partire dalle ore 21.00, per un momento di veglia e la possibilità di celebrare il Sacramento della Riconciliazione. Successivamente, la notte potrà essere vissuta come un pellegrinaggio verso il luogo della canonizzazione in Piazza San Pietro.
Domenica 27 aprile, tutti alla canonizzazione di Giovanni Paolo II e di Giovanni XXIII.
CUORE DELLA CHIESA
“La celebrazione della Messa, in quanto azione di Cristo e del popolo di Dio gerarchicamente ordinato, costituisce il centro di tutta la vita cristiana per la Chiesa universale, per quella locale e per i singoli fedeli”. Se il Battesimo è la porta d’ingresso nella comunità cristiana, l’Eucaristia ne è il centro e l’attuazione suprema. Ma la fede nell’Eucaristia non è facile, come non è facile accogliere il mistero della croce di cui è la ripresentazione sacramentale. Per questo la Chiesa l’ha circondata di tanti mirabili segni di adorazione, di amore e di bellezza: monito sempre attuale per prevenire le tentazioni della superficialità, dell’abitudine e dell’incredulità.
“L’Eucaristia è il cuore e il culmine della vita della Chiesa, poiché in essa Cristo associa la sua Chiesa e tutti i suoi membri al proprio sacrificio di lode e di rendimento di grazie offerto al Padre, una volta per tutte, sulla croce. Mediante questo sacrificio Egli effonde le grazie della salvezza sul suo Corpo che è la Chiesa. L’Eucaristia è il memoriale della Pasqua di Cristo, cioè dell’opera della salvezza compiuta per mezzo della vita, della morte, della risurrezione di Cristo, opera che viene resa presente nell’azione liturgica. E’ Cristo stesso, sommo ed eterno sacerdote della nuova alleanza che, agendo attraverso il ministero dei sacerdoti, offre il sacrificio eucaristico. Ed è ancora lo stesso Cristo, realmente presente sotto le specie del pane e del vino, l’offerta del sacrificio eucaristico”. (CCC 1407-1410).
FONTE E APICE
“I fedeli, incorporati nella Chiesa col Battesimo, partecipando al sacrificio eucaristico, fonte e apice di tutta la vita cristiana, offrono a Dio la Vittima divina e se stessi con Essa” (Lumen Gentium 11).
Affermando che il sacrificio eucaristico è il culmine e l’origine di tutta la vita cristiana, il Concilio ha detto una cosa straordinaria, che esige seria riflessione. Ha detto che la Messa è il centro, il cuore della religione, il tutto di essa, il centro propulsore della sua vitalità, la vetta e la sorgente del culto e di tutta la forza che muove la chiesa, l’inizio e la conclusione, il primo principio e l’ultimo fine, la meta, l’obiettivo, lo scopo, il mezzo.
Il sacrificio eucaristico è l’atto supremo di amore di Dio per l’uomo e l’atto supremo di amore che l’uomo può esprimere verso Dio. L’Eucaristia dona la vera vita, la vita eterna, senza la quale l’uomo fallisce l’esistenza. Gesù stesso lo ha dichiarato: “Se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me ed io in lui…chi mangia questo pane vivrà in eterno” (Gv 6, 56-58). Della Messa non si può fare a meno. Il cristiano autentico vive di Eucaristia. Essa è tutta la fede cristiana e il tutto della fede.
MEMORIALE
L’Eucaristia è il dono per eccellenza lasciatoci da Gesù Cristo, perché “dono della sua presenza, della sua persona, della sua umanità nonché della sua opera di salvezza”. La salvezza non rimane confinata nel passato, giacché tutto ciò che Cristo è, tutto ciò che ha compiuto e sofferto per gli uomini partecipa dell’eternità divina e perciò abbraccia tutti i tempi . Gesù, che ci ha salvato col suo sacrificio, è tornato al Padre ma ci ha lasciato il mezzo per parteciparvi come se fossimo presenti. Questo mezzo è l’Eucaristia, “memoriale della morte e risurrezione del Signore”, evento centrale della salvezza, ossia Sacramento che lo rende presente. Partecipando all’Eucaristia ogni fedele può attingere i frutti della salvezza. La Chiesa vive del sacrificio redentore e ad esso accede non solo per un ricordo pieno di fede, ma con un contatto attuale, poiché con l’Eucaristia diventa sempre presente. E l’Eucaristia applica agli uomini di oggi la riconciliazione ottenuta una volta per tutte da Cristo per l’umanità di ogni tempo.
SACRIFICIO
L’Eucaristia è il sacramento della presenza reale di Gesù Cristo e anche della sua passione e risurrezione, del suo sacrificio. Gesù stesso presenta il dono del suo corpo e del suo sangue in riferimento alla sua morte, accettata per salvare gli uomini. L’ultima cena è una celebrazione rituale nella quale Cristo fa del suo sacrificio un sacramento donato alla Chiesa. Ogni celebrazione eucaristica, rinnovando ciò che Gesù ha compiuto nell’ultima cena, ricongiunge e rende presente il sacrificio della croce. Il sacrificio di Cristo ristabilisce l’ordine voluto da Dio. Ripara i danni del peccato, restaura l’alleanza, ripristina la comunione col Signore e la partecipazione alla santità. L’uomo è salvo e la sua vita ha senso solo per il sacrificio di Cristo, avvenuto una volta sola sulla croce ma sempre presente presso il Padre come inesauribile fonte di redenzione. La Messa è sacramento, memoriale di questo sacrificio unico. Non è un ricordo o un simbolo ma l’attualizzazione della morte gloriosa di Cristo. E’ la ripresentazione, nel contesto di una preghiera di lode e di ringraziamento, del sacrificio pasquale. Siamo salvi se vi partecipiamo e riceviamo l’Eucaristia con coerenza di vita.
ALLEANZA NUOVA
Ogni giorno nella Messa sentiamo le parole di Cristo: “Prendete e bevetene tutti, questo è il calice del mio sangue per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati”. Gesù, dandoci la Messa, parlò di alleanza nuova e di alleanza di sangue.
E’ un’alleanza nel sangue. Per un semita l’alleanza era una cosa solennissima, era un patto di sangue. Gesù dandoci la Messa ci introduce in un rito del mondo semita e usa il suo linguaggio. La Messa è un atto solenne, importante come un giuramento, anzi supera il giuramento perché significa un contratto di nuova parentela, una parentela con Dio.
E’ un’alleanza nuova. L’Eucaristia è l’alleanza nuova in quanto è la dedizione definitiva e irrevocabile di Dio in Gesù Cristo. Essa ci comunica, mediante il dono dello Spirito di Gesù, tale autodonazione che ci rende capaci di vivere e morire come è vissuto ed è morto lui. Nell’Eucaristia si “compie”, in modo sublime, tutta la storia delle alleanze di Dio con il suo popolo e dall’Eucaristia nasce un popolo nuovo, la Chiesa. La nuova alleanza, data in modo pieno e definitivo, destina l’uomo a divenire libero, figlio di Dio, coinvolge tutta la sua esistenza e la trasforma, la rende capace di adesione totale a Dio e ai fratelli. E’ un’alleanza per la remissione dei peccati. L’Eucaristia è la forza per vincere il peccato che è il grande ostacolo all’alleanza con Dio ed è anche incitamento ad impegnarsi contro ogni male.
COMUNIONE
La Messa è segno di comunione con Cristo e, attraverso Cristo, col Padre. E’ comunione a tre livelli: con la sua Parola (liturgia della Parola), con la sua Persona (liturgia eucaristica), con i fratelli. Se è comunione con la Parola di Cristo, non è sufficiente ascoltarla. E’ necessario accoglierla e assimilarla. Se è comunione con la persona di Cristo, devo calarmi nella mentalità di Cristo. “Non sono più io che vivo (dovrei dire dopo la Messa) è Cristo che vive in me“. Se è comunione con i fratelli, allora devo accorgermi dei diritti, dei bisogni, delle pene, delle gioie dei fratelli.
Ricevere l’Eucaristia nella Comunione reca come frutto principale l’unione intima con Cristo Gesù. Il Signore dice: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui” (Gv 6, 56). La vita in Cristo ha il suo fondamento nel banchetto eucaristico: “Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà di me” (Gv 6, 57). Ciò che l’alimento materiale produce nella nostra vita fisica, la comunione lo realizza in modo mirabile nella nostra vita spirituale. La Comunione alla carne del Cristo risorto, “vivificata dallo Spirito Santo e vivificante”, conserva, accresce e rinnova la vita di grazia ricevuta nel Battesimo. La crescita della vita cristiana richiede di essere alimentata dalla comunione eucaristica, pane del nostro pellegrinaggio, fino al momento della morte, quando ci sarà dato come viatico (CCC 1391-1392). La comunione unisce al Cristo Salvatore, ci fa partecipare al suo mistero di morte e di risurrezione; la comunione ci riempie dello Spirito di Cristo, ci mette in atteggiamento di lode, di azione di grazia e di eucaristia verso Dio nostro Padre; la comunione al sangue, “versato per la remissione dei peccati”, ci libera e ci purifica dalle nostre colpe quotidiane, da quelle che non ci escludono dall’Eucaristia; la comunione ci unisce ai nostri fratelli, costruisce e unisce la comunità dei credenti, il corpo ecclesiale di Cristo; la comunione ci fa partecipare da ora alla vita eterna e mette i germi della risurrezione.
TRASFORMAZIONE
Con la Messa la vita di Cristo si inserisce in noi e noi siamo inseriti in lui. “Io sono il pane della vita…chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, dimora in me ed io in lui” (Gv 6,52). “Nella Messa partecipiamo realmente al corpo del Signore, siamo elevati alla comunione con lui e tra noi”. (L.G.7) Ma dobbiamo partecipare “realmente”, altrimenti annulliamo, per quanto dipende da noi, l’efficacia del corpo e del sangue del Signore. La Messa non produce un effetto magico. La forza divina entra in azione a condizione che ci apriamo ad essa, che collaboriamo con essa.
TENSIONE ESCATOLOGICA
L’Eucaristia è tensione verso la meta: “nell’attesa della tua venuta”. Essa esprime l’attesa fiduciosa che “si compia la beata speranza”. Chi riceve l’Eucaristia ha già la “vita eterna” e la garanzia della risurrezione: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv 6,54). Essa è “farmaco di immortalità, antidoto contro la morte” (S. Ignazio di Antiochia). Nella celebrazione eucaristica ci uniamo alla liturgia celeste ed essa esprime e consolida la comunione con la Chiesa celeste. L’Eucaristia è uno squarcio di cielo che si apre sulla terra.
PRESENZA REALE
L’Eucaristia, ripresentazione sacramentale della morte e risurrezione di Cristo, implica una sua presenza reale specialissima (anche le altre presenze sono “reali”, ma questa lo è in forma eminente). La consacrazione comunica certamente una grazia particolare, ma rende anche presente Colui che di ogni grazia è l’origine. E’ Gesù stesso che ha dichiarato esplicitamente la sua presenza eucaristica. Egli ha detto: “Questo è il mio corpo… questo è il mio sangue”. E’ normale che i cristiani che cercano di riflettere sulla loro fede si pongano degli interrogativi sulla presenza di Cristo nel Sacramento eucaristico. I teologi hanno cercato e cercano di esprimere questa presenza con parole. Il Concilio di Trento ha detto: “Con la consacrazione del pane e del vino si opera la conversione di tutta la sostanza del pane nella sostanza del Corpo di Cristo, nostro Signore, e di tutta la sostanza del vino nella sostanza del suo Sangue. Questa conversione in modo conveniente e appropriato è chiamata dalla Santa Chiesa cattolica transustanziazione”. (Sess. XIII)ù
CONVITO
La Messa è un banchetto di famiglia con Dio e con i fratelli. Siamo invitati dal Signore alla sua mensa e dobbiamo andare da lui:
vestiti a festa. Non si può andare vestiti di egoismo, di orgoglio, di sensualità. E’ necessario cambiare abito, prima di andare a Messa, togliere il peccato. San Paolo dice: “chiunque in modo indegno mangia il pane e beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore” (1 Cor 11, 27).
con le mani piene, con la disposizione di adeguarsi durante e dopo la Messa alla volontà di Dio.
col cuore aperto a tutti. Non ha senso andare alla mensa comune col cuore indurito dal rancore o dall’odio verso qualcuno. “Se presenti la tua offerta sull’altare e ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare e va prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono” (Mt 5,23-24).
CONVERSIONE
La Messa è chiamata, impegno e strumento di conversione. Chi nella Messa non entra in crisi e non si converte non ha capito la Messa. La Messa è un’alleanza, cioè un’amicizia, che esige una sintonia con Dio, quindi una conversione. “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue” (Lc 26,20).
RINGRAZIAMENTO
La Messa è il più grande grazie della storia umana, perché è il grazie del Figlio di Dio per l’uomo, che è costato una vita tutta spesa per Dio e per l’uomo. Il nostro ringraziamento attraverso l’Eucaristia è un grazie detto con Cristo, per Cristo e in Cristo e comporta l’impegno di affrontare la vita con la mente di Cristo e col suo cuore.
OFFERTA A DIO
Nella Messa il sacerdote impresta a Cristo i movimenti e la voce per fare e dire quanto Gesù fece nell’ultima cena. Ma è Cristo che si offre per noi. Il cristiano deve unirsi a lui e offrirsi a Dio. Offrirsi a Dio significa:
ascoltarlo, afferrare il messaggio di Dio su di noi, mettersi davanti a questo problema: “Signore che cosa vuoi da me?” e coglierne la risposta.
essere come lui ci vuole, o almeno voler essere, desiderare di essere come lui ci vuole.
crescere nell’unità coi fratelli, perché il nostro egoismo ci pone sempre in rottura, imparare a vivere con gli altri, ascoltarli, comprendere, condividere.
compiere un’opera difficile, perché bisogna sbaragliare l’egoismo umano. Perciò ci vuole un lavoro paziente e graduale. Non arriviamo mai ad offrirci bene, fino in fondo, con assoluta autenticità. Ma è necessario impegnarsi per essere coerenti con la fede.
A Dio dobbiamo offrire tutto, non riservarci nulla. Dobbiamo offrire:
la nostra intelligenza, il mondo del nostro pensiero, perché sia un giardino privilegiato per Dio, dove possa seminare e raccogliere, perché sia libero dall’orgoglio e da ogni cattiveria e aperto alla verità, perché a noi si possa riferire la beatitudine del Signore: “beati i puri di cuore”.
la nostra volontà. E’ il dono più duro, quindi il più bello. Significa offrire a Dio i nostri progetti, il nostro amore, la nostra amicizia, tutta la nostra vita, vivere non come piace a noi, ma come piace al Signore, sicuri che la volontà di Dio è il meglio che noi possiamo desiderare per la nostra esistenza, anche se talora esige lotte e sacrifici.
il nostro fisico, il corpo, gli occhi, la lingua, i sensi…, perché sia strumento dell’azione di Dio, perché agisca, si muova e operi secondo la volontà di Dio.
Proviamo a offrirci sul serio al Signore nell’Eucaristia e sarà impossibile che viviamo un’esistenza vuota, piatta, banale, senza vita.
Sabato 12 aprile, alle ore 17, la sindonologa Prof.ssa Emanuela Marinelli presenta gli ultimi studi sul misterioso lenzuolo di Torino, che l’anno prossimo sarà nuovamente esposto in occasione del Bicentenario dalla nascita del Santo dei Giovani.
Con questo evento, diamo anche inizio alle iniziative della nostra Parrocchia in occasione di questa importantissima ricorrenza.
Tutte le news le potete trovare su questo sito, nell’apposita sezione “Bicentenario dalla nascita”.
È il sito web del Teatro Educativo che si ispira direttamente all’intuizione pedagogica di Don Bosco che ha visto nel “Teatrino” uno “strumento privilegiato di educazione e formazione della gioventù”.
“È implicita nel teatro di don Bosco, la liberazione più ampia, ma insieme una graduale e profonda esigenza di disciplina, atta a costruire nel ragazzo la duplice dimensione personalistica dell’uomo e del cristiano. Il chiodo fisso di tutta la sua vita” (M. Bongioanni).
Areopago TES intende dare continuità ad una luminosa tradizione che ha visto, nei 150 anni di vita dei Salesiani, intere generazioni di Educatori intenti a formare i giovani loro affidati, a divenire “buoni cristiani e onesti cittadini”, scrivendo pagine memorabili di teatro e di musica.
UNA GIOIOSA CELEBRAZIONE
A chi entra in una Chiesa la Messa appare come una celebrazione religiosa festiva. Della celebrazione religiosa ha tutte le caratteristiche: un sacerdote che presiede, fedeli oranti, dialoghi, benedizioni, ecc. .
La Messa ha tutta l’impostazione di una festa. I partecipanti le danno un tocco di festività; spesso sono numerosi, talora sono una grande comunità. Il canto e la musica rendono la Messa più solenne e festosa. Talora la celebrazione è intessuta di canti, altre volte sono cantate solo alcune parti. Ma anche senza musica la Messa rimane un unico grande canto. I salmi sono canti, il prefazio è un inno, l’alleluia e l’amen sono invocazioni con sapore di canto, i testi sono pieni di ritmo. Il silenzio stesso talora diventa il canto più gioioso. Durante una Messa ben celebrata si può esclamare: “Che cosa hai, anima mia che canti?”
Anche i movimenti hanno una caratteristica festiva. Non c’è Messa senza ingresso, senza uscita e senza processione di chi proclama le letture e di chi va a ricevere la comunione; spesso c’è l’ingresso solenne dei celebranti e la processione per le offerte; in certe messe africane è usuale la danza sacra. I paramenti dei ministri si distinguano dai vestiti usuali e l’abbigliamento di chi partecipa la domenica alla Messa è festivo, che non significa dispendioso, ma adeguato alla festa. Naturalmente sono del tutto fuori luogo i pochi che si presentano alla Messa vestiti in modo non conveniente ad una celebrazione religiosa.
CULTO RESO A DIO
La Messa appare subito come un grande culto ufficiale reso a Dio dalla chiesa. Rendere culto significa rendere onore a Dio, di cui si riconoscono le supreme perfezioni. Il culto reso a Dio è di adorazione (in greco “latria”), mentre ai santi si rende solo un culto di venerazione. Fine della liturgia è glorificare il Padre, da cui tutto ha inizio e in cui deve avere il suo termine.
Il culto perfetto è quello di Gesù Cristo, Figlio di Dio, fatto uomo, che compie totalmente la volontà di Dio, fino a donare la vita. Gesù è l’unico sacerdote a pieno titolo, è la fonte della liturgia e ha designato la Chiesa a rendere presenti gli atti di culto al Padre che Egli ha offerto nella sua vita terrena. La liturgia è azione di tutta la Chiesa e ogni fedele è di essa membro attivo e beneficiario; oltre ad essere adorazione, lode e ringraziamento, è sorgente di santità. La Messa è la suprema azione liturgica della Chiesa e il cristiano trova in essa quanto gli occorre per vivere secondo Cristo. Essa esige prima di tutto una conoscenza e una partecipazione attiva.
DIMENSIONE TRINITARIA
Chi segue attentamente la Santa Messa si accorge che essa ha una dimensione trinitaria. E’ offerta a Dio, da parte della comunità, del pane e del vino che, per virtù dello Spirito Santo, si trasformano nel Corpo e Sangue di Cristo.
Durante il sacro rito sono frequentissimi i richiami trinitari. La Messa inizia col segno della croce: “Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo“. Un saluto iniziale suona cosi: “La grazia di Gesù Cristo, l’amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo sia con tutti voi“. Il “Confesso a Dio onnipotente” è rivolto alla Trinità. Il “Gloria a Dio” rivolto al Padre e a Gesù, ricorda alla fine lo Spirito Santo. Le orazioni, rivolte al Padre, terminano con “per il nostro Signore Gesù Cristo, che è Dio e vive e regna con Te, nell’unità dello Spirito Santo“. Il credo è una solenne professione di Fede alla Trinità. In vari dei molti prefazi rivolti al Padre, in cui è ricordato il Figlio, è indicato lo Spirito Santo. La Trinità è presente nelle “epiclesi” delle nuove preghiere eucaristiche. Nella dossologia (= parola di gloria) con cui terminano le preghiere eucaristiche sono ricordate le Tre Persone Divine: “Per Cristo, con Cristo e in Cristo, nell’unità dello Spirito Santo, a te Padre, ogni onore e gloria“. La Trinità è presente nella preparazione personale del sacerdote alla comunione: “Signore Gesù Cristo, figlio del Dio vivo, che per volontà del Padre e con l’opera dello Spirito Santo, morendo hai dato la vita al mondo“. La benedizione finale è data nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
LA MESSA E’ “SEGNO”
La Messa appare chiaramente come “segno“. Il segno è una realtà fondamentale della vita umana a tutti i livelli. L’uomo per comunicare ha bisogno di segni. Il segno è una cosa che porta alla conoscenza di qualche altra cosa; per esempio, la parola è segno eminente per la comprensione di ogni realtà; lo scritto è segno della parola; le immagini sono segni che indicano persone, avvenimenti, cose, azioni. Una specie particolare di segno sono i simboli, come il fuoco che indica l’amore, l’acqua che rimanda alla realtà spirituale, ecc.. Oggi si è instaurato l’uso di segni astratti, come numeri, linee, sigle alfabetiche, segnali audiovisivi. Dio può farsi sentire direttamente e, talora, lo fa in forme mistiche; ordinariamente, però, per comunicare i suoi doni, ricorre alla via normale dei segni. Sceglie per santificarci segni santi, come la sua parola, le “cose sacre”, in particolare l’Eucaristia, le persone sacre autorizzate a farsi portatrici della sua parola e della sua grazia. Gesù non ha dubitato di far uso di segni, come parole, gesti, oggetti significativi, per esempio, abluzioni, sollevamento al cielo degli occhi, lavanda dei piedi, tocco sui malati, uso della saliva, soffio sugli apostoli, ecc.. Il segno ad un tempo rivela e nasconde la realtà, ma senza segni non si comunica. Perché riveli ciò che indica, deve essere compreso e deve esserci volontà di accogliere la verità sottesa.
La Chiesa, nell’uso dei segni, s’ispira a Gesù e orna di essi in maniera abbondante la Messa. I segni liturgici sono desunti dalla natura e servono a destare conoscenze e sentimenti dello spirito. Moltissimi fedeli non conoscono la maggior parte dei numerosi segni della Messa. Lo studio di essi aiuta a scoprire la continua novità e freschezza della Messa, anche dopo anni di partecipazione.
La Messa è “segno”, indica realtà grandissime riguardanti la relazione tra Dio e gli uomini. Nell’Eucaristia subito la Chiesa ha percepito il contenuto di “segno” di tali realtà. Lo ha subito percepito come “segno” di comunione con Cristo e, attraverso lui, col Padre, con la sua Parola, con la sua Persona, con i fratelli. In seguito, la Chiesa si è preoccupata di adontare il fatto fondamentale della Cena con indicazioni e norme liturgiche che sono altrettanti “segni”, spesso chiari, mentre altre volte hanno bisogno di una spiegazione.
La Messa, come la celebriamo oggi, è tutto un susseguirsi di segni che siamo chiamati a comprendere e a cui dobbiamo adeguarci. Ecco alcuni esempi:
Il luogo della celebrazione è un “segno”: la navata che converge ad un centro, il presbiterio; il presbiterio che converge ad un centro, l’altare, “segno” di Cristo, che è il centro della Messa.
La pietra dell’altare significa che ci sarà un sacrificio, la tovaglia indica il convito, i fiori dicono che la Messa è festa.
Il popolo che si alza al vangelo indica il rispetto per la parola di Dio; il segno di croce su fronte, labbra e petto dice che quella parola ha bisogno di mente, bocca e cuore puri; lo stare in piedi, la libertà dei figli di Dio.
Le mani con le braccia aperte da orante indicano preghiera e speranza; con le braccia allargate, dopo la consacrazione, ricordano l’apertura all’azione dello Spirito Santo; incrociate in segno di pace, indicano l’offerta e l’accoglienza della pace, che spezzano il pane, parlano del sacrificio di Cristo per il mondo.
La frazione del pane, segno che risale a Gesù Cristo stesso, è insieme simbolo della sua donazione, nel sacrificio della croce e nell’eucaristia, dell’unità di tutti in un unico pane, e della carità, per il fatto che un unico pane è distribuito a tutti i fratelli.
La consacrazione è il segno principale della Messa, perché è il segno originale, primordiale dell’Eucaristia, uscito così dalle mani di Cristo. Tutti i segni fanno capo qui. La liturgia della Parola è per disporsi alla consacrazione, l’offertorio è la preparazione del cuore della consacrazione e la comunione, la conclusione concreta della consacrazione. La Chiesa, nella storia della liturgia, ha sempre circondato di grande attenzione questo perno unitario del rito eucaristico, l’ha circondato di estrema venerazione, ha sempre voluto il silenzio in questo punto della Messa. La consacrazione è segno di dono, di annientamento di Cristo che si immola per l’uomo, di comunione: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui” (Gv 6,56).
La comunione. II secondo segno più impegnativo della Messa è la comunione, che rimonta direttamente a Cristo. E’ un segno che esige conoscenza di ciò che si compie e impegno ad agire di conseguenza, a far calare Cristo nella vita. Significa comprendere che “non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me“ (Gal 4,4). Significa pensare, parlare, agire, avere i gusti, fare le scelte di Cristo. Si può dire che la comunione comincia soprattutto dopo la Messa.
NOMI DELLA MESSA
Al Sacramento istituito da Gesù nell’ultima Cena sono stati dati molti nomi. Paolo la chiama “Cena del Signore”. E’ una definizione che significa mettersi a tavola col Signore, essere in convito con Lui. Gli Atti degli Apostoli parlano di “Frazione del pane”, gesto liturgico che ripete precisamente quello che Gesù fece nell’ultima cena. Luca precisa che veniva celebrata ogni giorno nelle case ed era tra i tratti distintivi della prima comunità. Il termine “Eucaristia” compare dopo gli anni 100 con Ignazio di Antiochia. Eucaristia vuoi dire ringraziamento: il ringraziamento di Cristo al Padre a cui noi ci uniamo. L’Eucaristia ha avuto ed ha anche altri nomi: “Pasto del Signore” equivale a “cena”; “Santi Misteri” significa che l’Eucaristia è la celebrazione liturgica per eccellenza; “Santo Sacramento” indica il corpo e il sangue di Cristo reso presente nella celebrazione; “Sacrificio Eucaristico” designa l’offerta sacrificale; “Comunione” è usato per indicare la partecipazione al pasto eucaristico. La parola “Messa” è il nome più popolare, ma non il più significativo. Essa deriva dal “congedo” rivolto ai catecumeni dopo la Liturgia della Parola e quello rivolto a tutti alla fine della celebrazione.
Nell’ambito della voce “Celebrare”, in cui raggruppiamo tutto ciò che riguarda le celebrazioni liturgiche, è stata attivata la voce “Momenti di preghiera”.
Raccoglie le varie celebrazioni, novene, adorazioni, via crucis, che non sono Liturgie Eucaristiche ma sono occasioni di un Incontro con Cristo. E’ aggiornato periodicamente.
CROCE
La Croce ricorda il gesto supremo di obbedienza amorosa del Figlio al Padre e il mezzo di salvezza per gli uomini. E’ divenuto segno dei cristiani e oggetto della loro devozione. E’ presente nelle Chiese in posizione centrale e nella liturgia appare sia nella forma di nudo legno, sia in quella con l’immagine di Gesù scolpita o dipinta. Questa forma è chiamata più propriamente “crocifisso”, mentre la prima forma è detta “croce”. Ma con il termine “croce” vengono generalmente indicate le due forme.
La croce cominciò ad apparire nelle liturgie per aprire le processioni, dopo le quali veniva sistemata ai fianchi dell’altare per essere rimossa alla fine della celebrazione. All’inizio del secondo millennio ebbe una sistemazione stabile, isolata, sopra l’altare o addirittura sopra il tabernacolo. Talora la croce in grandi dimensioni venne posta sulla parete di fondo; crocifissi furono in seguito sistemati anche negli altari laterali o negli angoli della chiesa. La collocazione più consona alla liturgia è a fianco dell’altare, diagonalmente, in modo da essere visibile dal celebrante e dai fedeli. Nella liturgia sia la croce che il crocifisso, che sono simbolo e immagine della morte del Signore, ricevono la stessa riverenza, vengono entrambi incensati, ad essi ci si rivolge con l’inchino e, nel Venerdì Santo, con la genuflessione.
Nella Basilica S. Giovanni Bosco uno splendido crocifisso d’argento spicca al centro dell’antico altare maggiore sulle venature d’ametista: è di Pericle Fazzini. Un grande crocifisso di bronzo campeggia su marmo di Siena nella prima Cappella a destra; è opera di Venanzo Crocetti. Da qualche anno ai lati dell’altare si trova un altro crocifisso di legno, che talora viene momentaneamente tolto per aprire le processioni iniziali della Messa.
CERO PASQUALE E CANDELA
Il cero pasquale viene benedetto nella Veglia di Pasqua e resta acceso durante la celebrazione della Messa e dei Sacramenti per tutto il tempo pasquale e negli altri periodi dell’anno quando si amministrano i battesimi e durante i funerali. Rappresenta Cristo risorto, luce del mondo. S.Anselmo fa le seguenti specificazioni: “La candela è simbolo di Gesù Cristo, la cera, prodotta dalle api vergini, è simbolo della carne di Cristo, nato dalla Vergine Maria, lo stoppino è simbolo della sua anima, la fiamma della sua divinità”.
Nella Basilica S.Giovanni Bosco il cero pasquale viene posto su un monumentale candeliere, opera di Lyda Preti, che rispetta la struttura degli altri candelieri della Chiesa.
Le candele dell’altare sono un omaggio a Dio del frutto delle api e del loro lavoro, un ringraziamento per il dono della luce, un segno della preghiera che sale a Dio. Sono anche un invito a diventare “figli della luce” illuminati dalla sua parola, accesi dall’amore di Cristo e diffusori del suo amore; per questo al battezzato, diventato “figlio della luce”, viene consegnata una candela. Le candele vengono poste sull’altare, accompagnano e affiancano il ministro che legge il vangelo, talora si pongono anche ai quattro angoli del feretro, in omaggio al corpo del cristiano membro del Corpo mistico di Cristo.
Nella Basilica S. Giovanni Bosco molti candelieri sono situati dietro l’antico altare maggiore, in un complesso artistico comprendente il tabernacolo, il crocifisso d’argento, il tronetto, angeli adoranti, angeli porta luce, lesene. Il complesso è opera di Pericle Fazzini, i candelieri sono di Alcide Ticò. Dello stesso scultore e di struttura analoga sono molti altri candelieri situati nelle cappelle laterali.
Per l’illuminazione della Basilica ci sono molti fari, ma risaltano ancora gli elementi dell’illuminazione iniziale: sono 32 lampadari di Murano in vetro oro, eseguiti a mano, pendenti lungo le navate e due fascioni pure in vetro oro con rosoni, alla base delle tribune, per illuminare il presbiterio.
VASI SACRI
Per la celebrazione della Santa Messa sono necessari alcuni vasi sacri, che devono essere benedetti:
il calice che sostituisce la coppa. Essendo destinato ad accogliere il vino consacrato deve essere dorato, almeno all’interno. E’ consigliabile che la decorazione sia sobria;
la patena è un piccolo piatto concavo, destinato al pane consacrato detto “ostia” (=vittima) o particola (=piccola parte). Deve essere dello stesso materiale del calice. E’ un segno della “frazione del pane” fatta da Gesù e che il sacerdote ripete spezzando l’ostia in tre parti. Talora è sostituito da una patena più ampia fatta a forma di coppa;
la pisside (dal greco: “scatola”, “bossolo”) era all’inizio un cofanetto destinato a custodire i gioielli ed era usato dai sacerdoti e dai monaci che nei primi secoli portavano con sé l’Eucaristia. Quando si cominciò a conservare l’Eucaristia nelle Chiesa fu necessario adottare contenitori simili ma di maggior formato. Le pissidi vengono chiuse da un coperchio.
L’ostensorio (dal latino: ostendere = mostrare) risale probabilmente al XIII secolo, quando, istituita la festa del Corpus Domini, si cominciò a portare l’Eucaristia solennemente in processione. L’attuale ostensorio comprende anche una lunetta, ossia due lamine a forma di mezza luna per reggere l’Ostia e due vetri al centro di una raggiera.
VESTI
Gli apostoli e i primi sacerdoti celebravano l’Eucaristia con le vesti abituali, tanto in Palestina, come a Roma e nell’Oriente. In un secondo tempo i cristiani avvertirono il bisogno di adottare vesti speciali. Ha certamente influito la tradizione del mondo ebraico nel quale il sacerdote indossava vesti particolari, avranno contribuito l’Apocalisse, che indica il vittorioso come vestito di vesti bianche e S. Paolo che spesso ricorda le vesti nuove, per indicare la vita nuova.
Le principali vesti liturgiche attuali sono:
- il camice. “La sacra veste comune a tutti i ministri di qualsiasi grado è il camice, stretto ai fianchi dal cingolo, a meno che non sia fatto in modo da aderire al corpo anche senza cingolo. Se il camice non copre pienamente attorno al collo l’abito comune, prima di indossarlo, si deve mettere l’amitto“. (PNMP 298)
Attualmente il camice è confezionato in modo da rendere inutile l’amitto e il cingolo. Comunque, il cingolo è una cordicella doppia che cinge (da cui viene il termine “cingolo”) e simboleggia la mortificazione; l’amitto (dal latino= avvolto) è un quadrato di stoffa bianca che avvolge il collo, copre le spalle e parte del petto; simboleggia la speranza e la salvezza.
Il camice deriva dalla tunica romana, l’abito comune dell’antico e medio impero romano. Era generalmente di lino bianco o comunque di colore chiaro. Da qui anche il nome di alba (= bianca). Una veste bianca veniva indossata dal battezzato subito dopo l’immersione battesimale e indicava la nuova vita del cristiano. Un ricordo di questa consuetudine l’abbiamo nel vestitino che viene usato nel Battesimo per i bambini. Attualmente è una veste a sacco che scende fino a terra con maniche e aperture per il passaggio del capo.
Quando verso il XVI secolo i sacerdoti cominciarono a usare la veste talare, il camice venne in parte sostituito dalla “cotta”, una sorta di camice accorciato, che derivava dalla mantella di pelliccia che nei paesi nordici veniva usata dai monaci e che veniva chiamata anche “superpelliceo”. Attualmente la cotta è scarsamente usata.
- la stola. E’ una lunga striscia di stoffa piegata in due. L’origine della stola è controversa; sembra si richiami alla sciarpa o al fazzoletto per tergere il sudore o la bocca o le lacrime; dal momento che si trovava a contatto con la bocca nei primi secoli si chiamava “orarium” (dal latino: os-oris). Il nome di “stola” (dal greco: veste) lo troviamo nel IV secolo e deriva dal fatto che era una doppia fascia ornamentale che scendeva ai bordi di una veste aperta sul davanti ed era considerata un segno di distinzione. Presto assunse un significato simbolico, perché interpretato in relazione alla preghiera e alla predicazione (orare-pregare-predicare) e divenne l’insegna delle persone qualificate per la predicazione, vescovo, sacerdote, diacono. Il Vescovo e il Sacerdote la indossano lasciandola pendere liberamente, il diacono la dispone a tracolla, dalla spalla sinistra, incrociandola sul fianco destro; per i diaconi è anche il segno del loro impegno di servizio.
- la casula. La casula (dal latino: piccola casa) era inizialmente un mantello di forma circolare con un foro al centro per passarvi la testa, che aveva sostituito, già dal II secolo, la tunica romana ed era diventata segno distintivo dei senatori. La casula avvolge e ricopre la persona del sacerdote a ricordare l’investitura ricevuta e lo fa quasi scomparire come individuo per evidenziare che egli agisce a nome e nella persona di Cristo e della Chiesa.
La casula ha sostituito la veste in uso prima dell’ultima riforma liturgica, detta “pianeta”, nome derivato dal fatto che poteva girare intorno al collo come i pianeti, anche perché era senza maniche. La pianeta derivava della “phenula” romana, riduzione del mantello, usata dai pubblici ufficiali, ed era simile al “manto” che nell’AT indossava il Sommo Sacerdote, quando entrava nel Santo dei Santi.
- il piviale. Il piviale (dal latino, “pluvia”= pioggia) è un mantello lungo, aperto ai fianchi, con nel retro il residuo di quello che era il cappuccio, destinato a riparare dalla pioggia. Il Sacerdote lo porta sopra il camice e la stola durante le processioni, nell’esposizione del Santissimo e nei Vespri solenni.
COLORI
Le vesti di vari colori hanno il significato di rendere onore a Dio, richiamare le realtà della fede e suscitare la devozione. Nei primi secoli predominava il bianco, perché nella cultura mediterranea era il colore della festa e delle grandi occasioni. La sensibilità al linguaggio dei colori si è accentuata nel Medioevo. Attualmente i colori liturgici sono sei:
il bianco che esprime da noi il clima di festa. Viene impiegato nel Tempo di Natale e di Pasqua, nelle memorie e feste della Beata Vergine e dei Santi confessori;
il verde indica la speranza ed esprime la normalità. E’ il colore del Tempo ordinario, quello che segna il cammino della Chiesa verso il Regno futuro;
il rosso richiama il fuoco santificatore dello Spirito Santo, il sangue di Gesù e dei martiri, la regalità di Cristo. Si usa a Pentecoste, nella Domenica delle Palme, nel Venerdì Santo, nella solennità dell’Esaltazione della Croce, nella memoria dei Martiri;
il viola è il colore della penitenza ed esprime impegno e speranza. E’ indicato nei Tempi di Avvento e di Quaresima e nella liturgia dei defunti. Il viola, nella liturgia dei defunti ha sostituito il nero, che non è più in uso;
il rosaceo è il colore della gioia. Si può usare nelle domeniche 3° di Avvento (“Gaudete”) e 4° di Quaresima (“Laetare”), in cui la liturgia ha una tonalità di gioia.
il giallo-oro è un colore che indica la festa. Può sostituire il bianco.
SACRI LINI
La liturgia oltre che i tessuti per le vesti ne usa anche altri per l’altare. In particolare hanno posto nella Messa:
le tovaglie che non possono mancare sull’altare, simbolo di Cristo. Le tovaglie rappresentano le vesti del corpo del Signore e nobilitano l’altare. Il fatto che si pongono due tovaglie, originariamente, era suggerito dalla necessità di assorbire eventuali versamenti di vino;
il corporale che è un quadrato di lino da porre sotto il calice e la patena. Talora viene inamidato, affinché la superficie lucida consenta di raccogliere eventuali frammenti dell’ostia consacrata;
la palla che è un quadratino più rigido, destinato a coprire il calice, per evitare che insetti, attratti dal vino, vi si introducano.
LIBRI LITURGICI
Per la celebrazione della Messa servono alcuni libri liturgici, debitamente approvati dalla Chiesa:
il messale contiene il complesso di preghiere, antifone, prefazi, preghiere eucaristiche, parti fisse e variabili della Messa, parti proprie dei santi, formulari per messe rituali, dei defunti;
i lezionari contengono le letture della Messa, i salmi responsoriali, le antifone al Vangelo. I lezionari sono vari;
l’orazionale contiene formulari di preghiere dei fedeli;
i foglietti. Generalmente nelle chiese vengono messi a disposizione dei foglietti con le letture e le preghiere del giorno. Non sono previsti dalla liturgia, ma favoriscono una migliore partecipazione e hanno il vantaggio di poter rivedere a casa i testi della Messa;
i messalini. Varie editrici hanno pubblicato per i fedeli messalini di vario tipo che contengono quanto si trova nei libri liturgici usati dal sacerdote. Sono editi normalmente in due volumi: messalino festivo e messalino feriale.
PANE E VINO
Fedele all’esempio di Cristo, la Chiesa ha sempre usato il pane e il vino per celebrare la Cena del Signore.
Il pane deve essere solo di frumento, confezionato di recente e azzimo, secondo l’antica tradizione della Chiesa. Va preparato in modo che il sacerdote possa spezzarlo e, quando è possibile, distribuirne parte ai fedeli. La frazione è segno dell’unità di tutti nell’unico pane, la distribuzione è segno della carità. Quando ci sono molti fedeli è necessario consacrare o tenere in custodia ostie piccole per la comunione di tutti.
Il vino deve essere tratto dal frutto della vite, naturale, genuino e non misto a sostanze estranee. Va conservato con la massima cura, perché non diventi aceto.